di Menuccia Nardi
Domani, 4 aprile 2018, sarà il cinquantenario di un evento indelebile nella memoria e nella coscienza del ’900, l’anniversario della morte di un uomo giusto, un pastore, famoso per essere stato leader del movimento per i diritti civili degli afroamericani negli anni ’50 e ’60, che nel suo operato fu ispirato dai principi della lotta non violenta predicata anni prima in India da Gandhi (il Mahatma, la grande anima), e che nel 1964 gli valse il premio Nobel per la pace a soli 35 anni.
Il 4 aprile del 1968, colpito dal proiettile di un fucile, moriva a Memphis Martin Luther King.
Di lui ci rimangono parole, racconti e immagini in bianco e nero, risalenti ad un’epoca in cui, nella sua Georgia (ma non solo), il bianco o il nero della pelle stabilivano in quale sala d’attesa sedersi nelle stazioni, in quale scuola potersi iscrivere.
Ho ascoltato e letto innumerevoli volte il suo discorso più celebre, “I have a dream” – Io ho un sogno – (ricordo che la prima volta ce ne fece studiare alcuni passi la mia professoressa di inglese delle medie). Fu pronunciato a Washington il 28 agosto del 1965 e mi colpisce sempre. E mi commuove sempre. Alla vigilia dell’anniversario della sua morte non posso non citarne alcuni passi:
« […] I have a dream that one day this nation will rise up and live up the true meaning of its creed: we hold these truths to be self-evident, that all men are created equal […].
(Ho un sogno, che un giorno questa nazione sorgerà e vivrà il vero significato del suo credo: noi riteniamo queste verità di per sé evidenti, che tutti gli uomini sono creati uguali)
[…] I have a dream that my four little children will one day live in a nation where they will not be judged by the color of their skin but by the content of their character […] ».
(Ho un sogno, che i miei quattro bambini un giorno vivranno in una nazione in cui non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per il contenuto del loro carattere)
Quel “Free at last “(finalmente libero) con cui terminò il suo discorso si legge ancora sulla sua lapide: “Free at last! Free at last! Thank God Almighty, we are all free at last!”