di Menuccia Nardi
Dunque, in questi giorni stiamo vedendo un film che forse molti di noi non avrebbero mai voluto vedere: gli altri che giocano ai mondiali e noi a casa a guardare. Anch’io, che di norma non sono una grande appassionata di calcio, ammetto di aver vissuto l’inizio di questa competizione con una certa amarezza e ricordo con nostalgia tutta l’attesa e la preparazione psicologica (accompagnata dalla preparazione di panini, bibite e pizza!) che nei decenni precedenti preannunciava a casa mia l’inizio dei campionati di calcio più famosi del mondo (e sono certa che se ora qualcuno della mia famiglia mi sta leggendo è pronto a ricordare anche la mia conseguente trasformazione occasionale in scimmia urlatrice ad ogni traversa presa dai nostri o ad ogni passaggio perso!).
Purtroppo per quest’anno è andata così e rammaricarsi a oltranza non credo possa produrre effetti benefici o consolatori, per cui me ne sono fatta una ragione e, ormai rassegnata agli eventi, confesso di aver seguito anch’io negli ultimi giorni alcune partite (ma in religioso silenzio): alcune a dire il vero con gli occhi chiusi già all’inizio del secondo tempo, altre le ho onorate della mia presenza vigile (evento per me rarissimo davanti alla televisione di sera) fino alla fine. Tra queste fortunate elette c’è stata la partita tra l’Uruguay e il Portogallo. Non sto lì a fare commenti calcistici da finta esperta che non sono, perché di calcio ne capisco veramente poco, però devo assolutamente citare la scena di Ronaldo che sostiene e accompagna Cavani infortunato fuori dal campo: da applauso a scena aperta. Sono rimasta lì a guardare ammirata, con l’espressione di quando al cinema rimani lì seduta davanti ai titoli di coda e non vorresti ancora andare via perché il film ti è piaciuto davvero tanto: ecco, questa scena mi è piaciuta davvero tanto, l’ennesima occasione per dire quanto lo sport possa essere anche un modo per dare un buon esempio…