Tribunale amministrativo regionale del Lazio sul Ricorso n. 934/2006 R.g. Sentenza su scioglimento Comune di Nettuno

  N.                           Reg. Sent.N.       934/2006   Reg. Ric.

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione prima, composto dai signori

Antonino Savo Amodio                     Presidente

Silvia Martino                                     Primo referendario

Mario Alberto di Nezza                     Primo referendario rel.

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso n. 934/2006 R.g. proposto

da

Roberto Gigli, Massimilano Rognoni, Romualdo Danti, Giuseppe Massimi, Vittorio Marzoli, Giuseppe Borrelli, Paola Ottolini, Mariano Leli e Antonio Procopio, rappresentati e difesi dall’avv. Pietro Annese, presso il cui studio in Roma, Viale G. Mazzini n. 134, hanno eletto domicilio

contro

la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Ministero dell’interno e il Prefetto della Provincia di Roma, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, sono domiciliati

nei confronti di

Comune di Nettuno, in persona del presidente della Commissione straordinaria per la provvisoria gestione dell’ente;

Cianfriglia Domenico e Burrini Nicola, rappresentati e difesi dall’avv. Giuseppe Fornaro, presso il cui studio in Roma, Via Condotti n. 61/A, hanno eletto domicilio;

Conte Carlo, rappresentato e difeso dagli avv.ti Manfredi Fiormonti e Maurizio Visca, presso lo studio dei quali in Roma, Largo Somalia n. 30/C, ha eletto domicilio

per l’annullamento

del decreto del Prefetto della Provincia di Roma in data 24.11.2005, prot- n. 63249/2005, con cui è stato sospeso il Consiglio comunale di Nettuno;

del decreto del Presidente della Repubblica in data 28.11.2005, con cui si è disposto lo scioglimento del Consiglio comunale di Nettuno e si è affidata la gestione del Comune ad una Commissione straordinaria;

della proposta del Ministero dell’interno e della relazione del medesimo, allegata al decreto di scioglimento;

della deliberazione del Consiglio dei ministri adottata nella riunione del 24.11.2005;

della relazione della Commissione di accesso incaricata di verificare “condizionamenti ed infiltrazioni della criminalità organizzata nell’attività gestionale-amministrativa del Comune di Nettuno”;

delle relazioni del Prefetto di Roma in data 22.7.2005 e 14.10.2005 nonché della proposta di applicazione dell’art. 143 del d.lgs. n. 267/2000;

di ogni altro atto connesso, presupposto o conseguente.

Visto il ricorso con i relativi allegati;

visti gli atti di costituzione in giudizio delle amministrazioni intimate e dei controinteressati;

visti gli atti tutti di causa;

sentiti alla pubblica udienza del 7 giugno 2006, relatore il dott. Mario Alberto di Nezza, gli avv.ti Annese, Fornaro, Visca e l’avv. dello Stato Giannuzzi;

ritenuto e considerato quanto segue in fatto e in diritto

FATTO

Con ricorso notificato il 20 gennaio 2006, depositato il successivo 2 febbraio, gli istanti in epigrafe, già amministratori del Comune di Nettuno, hanno impugnato il d.P.R. 28.11.2005 con il quale è stato disposto, ai sensi dell’art. 143 d.lgs. n. 267/2000 (C.d. Tuel) lo scioglimento del Consiglio comunale, con contestuale affidamento della gestione dell’ente locale a una Commissione straordinaria.

A sostegno del gravame i ricorrenti hanno dedotto con un’unica articolata censura i vizi di violazione di legge ed eccesso di potere sotto vari profili.

Si sono costituite in resistenza le intimate amministrazioni nonché i sigg.ri Burrini, Cianfriglia e Conte.

Disposta ed espletata istruttoria documentale (attraverso l’acquisizione della relazione della Commissione d’accesso di cui al provvedimento in data 24.5.2005 del Prefetto di Roma) e depositate dalle parti ulteriori memorie, alla suindicata udienza di merito la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Con d.P.R. 28.11.2005 è stato disposto lo scioglimento del Consiglio comunale di Nettuno ai sensi dell’art. 143 Tuel.

Insorgono avverso tale provvedimento (ed avverso gli altri atti indicati in epigrafe, tra cui il decreto di sospensione dell’organo collegiale assunto dal Prefetto di Roma il 24.11.2005) l’ex sindaco ed alcuni ex consiglieri, i quali contestano la sussistenza dei presupposti fattuali su cui esso poggia.

2. Disattesa preliminarmente l’eccezione di irricevibilità del gravame spiegata dai sigg.ri Burrini, Cianfriglia e Conte (altri ex consiglieri comunali, ai quali il ricorso sarebbe stato notificato tardivamente), dal momento che costoro non versano nella posizione di controinteressati (essi sono stati parimenti colpiti dallo scioglimento, a nulla rilevando la condivisione, presumibilmente riconducibile a ragioni politiche, degli effetti del provvedimento dissolutorio), ritiene il Collegio che il ricorso sia infondato nel merito.

2.1. L’art. 143 Tuel recita: “i consigli comunali e provinciali sono sciolti quando, anche a seguito di accertamento effettuati a norma dell’art. 59, comma 7, emergono elementi su collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata o su forme di condizionamento degli amministratori stessi, che compromettono la libera determinazione degli organi elettivi e il buon andamento delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi alle stesse affidati ovvero che risultano tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica. […]”.

Per pacifica giurisprudenza amministrativa, il tenore letterale di questa disposizione, incentrata sulla sussistenza di meri “elementi” non meglio specificati su “collegamenti” o “forme di condizionamento”, “è indicativo del disegno legislativo di individuare la sussistenza di un rapporto fra gli amministratori e la criminalità organizzata sulla scorta di circostanze che presentano un grado di significatività e di concludenza inferiore rispetto a quelle che legittimano l’azione penale (delitti ex art. 416-bis cod. pen., delitti di favoreggiamento commessi in relazione ad esso) o l’adozione di misure di sicurezza nei confronti degli indiziati di appartenenza ad associazioni di tipo mafioso o analoghe”. Risulta cioè chiaro l’intento del legislatore di riferirsi anche a situazioni estranee all’area propria dell’intervento penalistico o preventivo, “ciò nell’evidente consapevolezza della scarsa percepibilità, in tempi brevi, delle varie forme di connessione o di contiguità fra organizzazioni criminali e sfera pubblica e della necessità di evitare con immediatezza che l’amministrazione dell’ente locale sia permeabile all’influenza della criminalità organizzata” (di qui la rilevata “straordinarietà” della misura, preordinata, appunto, a fronteggiare emergenze di tipo straordinario).

Ne segue che la potestà di apprezzamento dell’amministrazione non può essere confinata entro i limiti delle risultanze dell’accertamento penale, essendo al contrario lecito conferire pieno rilievo a “situazioni non traducibili in addebiti personali, ma tali da rendere plausibile, nella concreta realtà contingente e in base ai dati dell’esperienza, l’ipotesi di una possibile soggezione degli amministratori alla criminalità organizzata (vincoli di parentela o di affinità, rapporti di amicizia o di affari, frequentazioni)”.

Analoga ampiezza va riconosciuta alla facoltà di apprezzare gli effetti derivanti dai collegamenti o dalle forme di condizionamento “in termini di compromissione della libera determinazione degli organi elettivi, del buon andamento della amministrazione, del regolare funzionamento dei servizi, ovvero in termini di grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica, con conseguente idoneità anche di quelle situazioni che non rivelino né lascino presumere l’intenzione degli amministratori di assecondare gli interessi della criminalità organizzata”.

È stato perciò affermato che il potere di scioglimento contemplato dall’art. 143 Tuel costituisce “la risultante di una valutazione il cui asse portante è costituito, da un lato, dalla accertata o notoria diffusione sul territorio della criminalità organizzata e, dall’altro, dalle precarie condizioni di funzionalità dell’ente”, estremi entro i quali si muove l’ampia discrezionalità dell’amministrazione assoggettata al consueto sindacato del giudice “nei soli limiti della presenza di vizi che denotino, con sufficiente concludenza, la deviazione del procedimento dal suo fine istituzionale” (in termini, Cons. Stato, sez. IV, 6 aprile 2005, n. 1573, e giurisprudenza ivi richiamata; v. anche Cons. Stato , sez. V, 4 maggio 2005, n. 2160, e, per profili – non accolti – di costituzionalità del pregresso omologo art. 15-bis, l. n. 55 del 1990, Corte cost. 19 marzo 1993, n. 103).

2.2. La disamina del thema decidendum alla luce dei canoni appena indicati convince il Collegio della infondatezza delle doglianze.

2.2.1. Sostengono anzitutto gli istanti che la relazione ministeriale di accompagnamento al decreto di scioglimento conterrebbe l’elencazione di vari fatti in alcun modo correlati con l’asserita infiltrazione di associazioni di tipo mafioso.

In particolare: la presenza di un’organizzazione criminale in collegamento con una cosca della ‘ndrangheta calabrese, dedita al traffico di stupefacenti; il legame tra un dirigente comunale e un noto esponente della malavita; i contatti tra un assessore, dimessosi nel 2004, e un esponente della malavita; l’utilizzo di un immobile di proprietà di un noto pregiudicato per l’apertura di una casa-famiglia destinata ad ospitare soggetti con gravi handicap psichici; l’emissione di un provvedimento di custodia cautelare in carcere nei confronti di alcuni dirigenti ed ex amministratori di Nettuno, indagati per reati di particolare gravità unitamente a un noto esponente della criminalità organizzata; il costante trattamento di favore per soggetti direttamente o indirettamente collegati con ambienti malavitosi; l’agevolazione della ingerenza negli affari dell’ente e della strumentalizzazione delle scelte amministrative per effetto di rapporti di contiguità, parentele, frequentazioni e cointeressenze di natura economica di taluni pubblici amministratori e dipendenti comunali con soggetti della criminalità organizzata; ebbene, tutti questi “elementi” darebbero corpo a una motivazione solamente apparente, in quanto alcuni fatti sarebbero contrari al vero ed altri non avrebbero valenza indiziaria.

Ciò sarebbe comprovato non solo dall’annullamento, ad opera del tribunale del riesame, delle misure cautelari menzionate nella relazione, ma anche dal contenuto delle risposte rese in data 22.7.2003 e 17.2.2004 dal Ministro dell’interno a due interrogazioni parlamentari sul preteso radicamento della criminalità organizzata nel litorale pontino.

Ma ad avviso del Collegio queste allegazioni, più che a dimostrare la sussistenza di vizi di legittimità, sembrano intese a fornire una lettura alternativa del contesto in cui si inserisce la vicenda. Si tratta, cioè, della mera esposizione del punto di vista dei soggetti colpiti dal provvedimento di dissoluzione dell’organo consiliare, sicché non possono certo costituire la base per adottare l’auspicata pronuncia caducatoria.

2.2.2. Sono parimenti infondate le censure specificamente dirette a contestare la “provvista probatoria” su cui si è basato il Ministero.

Tanto la relazione ministeriale di accompagnamento al decreto di scioglimento quanto la relazione commissariale predisposta a conclusione dell’accesso effettuato presso l’ente (ai sensi dell’art. 1, 4° comma, d.l. n. 629 del 1982, conv. con l. n. 726 del 1982) sono infatti pienamente idonee a rappresentare le pesanti disfunzioni organizzative del Comune di Nettuno e a documentare la situazione del territorio, caratterizzato “dalla presenza di organizzazioni criminose, alcune delle quali collegate alle consorterie criminali di tipo mafioso che, seppur storicamente tipiche di altre realtà territoriali, risultano insediate nell’area nettunense” (la capacità e la potenzialità criminale di dette organizzazioni sono desunte dalle numerose operazioni di polizia conclusesi anche con ordinanze di custodia cautelare in carcere per reati quali l’associazione a delinquere finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti).

Nella relazione sono stati in particolare evidenziati gli specifici “elementi” dai quali desumere la “sussistenza di fattori di inquinamento dell’azione amministrativa dell’ente locale a causa dell’influenza della criminalità organizzata fortemente radicata sul territorio” e la circostanza che “nel tempo, l’uso distorto della cosa pubblica si sia concretizzato nel favorire soggetti collegati direttamente od indirettamente con gli ambienti malavitosi”.

Il tutto, in un quadro caratterizzato dalla “frammentazione, nell’apparato burocratico, delle funzioni dirigenziali” e dalla “anomala attribuzione e distribuzione degli incarichi dirigenziali”, circostanze che hanno concorso alla realizzazione di un “contesto ideale per pressioni e condizionamenti esterni”: difatti, interi settori amministrativi (definiti “strategici”) “risultano concentrati nelle mani di un singolo dirigente cui il sindaco ha gradualmente affidato crescenti responsabilità” sebbene costui fosse “coinvolto in procedimenti penali per reati contro la pubblica amministrazione” (in relazione ai quali erano emersi “passaggi finanziari” che permettono di “risalire ad un collegamento del sopraccitato dirigente con un noto esponente di una consorteria criminale”; per altri dipendenti con incarichi dirigenziali “sono stati aperti procedimenti penali per gravi reati contro la pubblica amministrazione”).

Nella relazione viene posta l’attenzione su quattro settori specifici: finanze, urbanistica ed edilizia, appalti, servizi comunali.

È stata in particolare evidenziata la gravità della situazione finanziaria del Comune (“come ricostruita dalle risultanze contabili e dagli atti deliberativi e gestionali”): difatti, “l’ente accumula sistematicamente debiti fuori bilancio e non paga i creditori né si adopera per incrementare le entrate” (si ipotizza al riguardo “che le spese vengano sottostimate in fase di bilancio di previsione allo scopo di non dover adeguare il livello delle entrate”). In questa ottica, “la scelta di non incrementare le entrate, come pure le vicende che hanno interessato la società […] costituita per la gestione dei servizi tributari, considerata la insussistenza di miglioramenti alle finanze del comune, anzi l’aggravio degli oneri”, sono state ritenute “strumentali ad assecondare forme di interferenza”.

Nella relazione, che sottolinea la “bassissima […] percentuale di tributi riscossi”, è ben lumeggiato il ruolo di detta società di servizi, che “ha costituito e continua a costituire un aggravio di spese essendo […] in realtà una ‘scatola vuota’” (si tratta infatti di un organismo cui il comune partecipa con il 51% del capitale sociale, restando la rimanente quota in mano ad altri due soci privati “ad uno dei quali è stato delegato l’espletamento di tutti i servizi attribuiti dal comune”), non avendo nessun dipendente a busta paga.

In relazione a questa società si chiarisce che il “passaggio di funzioni ha comportato in concreto per il comune un aggravio dei costi di gestione” (“vengono trasferiti alla società delegata circa i due terzi dell’aggio corrisposto dal comune”), sottraendosi nel contempo, al controllo di gestione e di spesa, i servizi ad essa affidati (peraltro in elusione delle norme di evidenza pubblica).

Correlativamente, è emerso: a) che il dirigente dell’area economico-finanziaria (del quale erano stati evidenziati “collegamenti con un noto esponente della criminalità organizzata”) ometteva “la contabilizzazione degli oneri di gestione e di riscossione effettuati dalla società, in violazione della vigente normativa che impone di rappresentare la reale entità delle spese di funzionamento dell’ente”; b) nel dicembre 2004 veniva attribuita alla società di servizi “anche l’attività tecnico-giuridica propedeutica alla cessione di immobili del patrimonio immobiliare comunale, senza che venisse in alcun modo motivata la scelta di demandare la valutazione dei beni alla predetta società in luogo degli uffici tecnici comunali” (circostanza ritenuta strumentale “all’attivazione di forme alternative e surrettizie di acquisizione di liquidità”); c) che in seno al consiglio di amministrazione di tale organismo non solo erano presenti “persone legate a vario titolo ai rappresentanti del comune” (circostanza ritenuta strumentale all’attenuazione dei controlli nei confronti dell’operato della società), ma tre dei sei rappresentanti comunali erano “gravati da precedenti penali”.

Quanto al settore dell’urbanistica e dell’edilizia, precisato che “il controllo sul territorio per l’attività di contrasto all’abusivismo edilizio si svolge quasi esclusivamente sulla base degli esposti”, si evidenzia: a) che l’amministrazione aveva “rilasciato titoli concessori prevalentemente in variante al piano regolatore”, apparendo la concessione “in alcuni casi […] strumentale a favorire operazioni di lievitazione del prezzo dell’immobile o ad incrementare l’attività di società di costruzione vicine ad esponenti della criminalità organizzata locale”; b) in altri casi, che “i passaggi di proprietà dei terreni oggetto di concessioni edilizie e le conseguenti volture del titolo concessorio [apparivano] unicamente finalizzati ad evitare il decorso del termine di scadenza della concessione o ad aspettare l’approvazione delle varianti al piano regolatore generale per sanare eventuali abusi edilizi. Anche in tali casi, beneficiari delle procedure dilatorie figurano soggetti contigui ad ambienti criminali”; c) che in relazione a “titoli concessori rilasciati a seguito di lottizzazioni di aree site in diverse località del territorio comunale, [erano] presenti quali diretti intestatari, quali amministratori, rappresentanti o soci delle imprese titolari, esponenti della malavita locale, alcuni dei quali gravati da diversi precedenti e di recente indagati anche per il reato di associazione illecita per traffico di sostanze stupefacenti”; d) che un soggetto deferito all’autorità giudiziaria per gravi ipotesi di reato aveva “beneficiato di una concessione demaniale indebitamente rilasciata in quanto l’area demaniale era già stata data in concessione ad altra società” (tale soggetto risultava tra l’altro “essere stato presente nel consiglio di amministrazione, di diretta nomina sindacale, di una casa di riposo di proprietà del comune”); e) che il Comune aveva concesso un’autorizzazione all’apertura “di una casa famiglia destinata a soggetti con gravi handicap psichici” in un “immobile di proprietà di un noto pregiudicato, del quale è stata accertata la frequentazione con un amministratore”.

In riferimento al settore degli appalti pubblici, è risultato: a) che “alcune società correlate all’attività istituzionale del comune presentavano, nei rispettivi assetti, soggetti legati alla criminalità locale” (la ristrutturazione della predetta casa di riposo era stata commissionata “ad una società il cui titolare ha precedenti per rapina e detenzione abusiva di armi ed è stato interdetto dai pubblici uffici per 5 anni”; alla stessa ditta, nel 2004 risultavano appaltati altri tre lavori); b) che, i lavori di completamento di un insediamento produttivo, finanziato in gran parte con fondi della regione erano stati affidati dal comune “ad una associazione di imprese, di cui fa parte una società cooperativa, nella quale il responsabile tecnico ed il legale rappresentante sono strettamente imparentati con un fiancheggiatore e con un affiliato ad un pericoloso clan camorristico”; c) che le procedure amministrative concernenti l’ampliamento del porto turistico di Nettuno erano caratterizzate da “gravi irregolarità ed anomalie”, che portavano a ritenere “che il comune abbia agito per favorire alcuni personaggi vicini ad ambienti malavitosi, considerata altresì l’assoluta incapacità del personale dirigente dell’ente di contrastare richieste manifestamente illegittime”.

Nell’ambito dei servizi comunali è emerso che: a) alcuni di essi erano “svolti da anni in condizione di quasi monopolio dalla stessa ditta o perché, come nel caso del servizio di abbattimento e potatura di alberature comunali, la ditta ha beneficiato di affidamenti diretti, o in quanto è risultata aggiudicataria in gare nelle quali ha presentato ribassi molto consistenti rispetto al prezzo indicato come base d’asta, ovvero ha beneficiato di proroghe del servizio di anno in anno senza lo svolgimento di selezioni ad evidenza pubblica”; b) i servizi cimiteriali erano “svolti da molti anni da una cooperativa il cui rappresentante legale è un consigliere comunale in carica ed il rappresentante di una delle società che ne fanno parte è congiunto di un amministratore”; c) la stazione di stoccaggio di rifiuti era “gestita da una ditta il cui rappresentante è in stretti rapporti con l’organo di vertice del comune, stazione presso la quale il sindaco ha disposto con apposita ordinanza il deposito dei rifiuti, vista l’impossibilità di utilizzare la discarica autorizzata dalla regione, a causa del mancato pagamento dei servizi di smaltimento dei rifiuti da parte dell’ente” (e tanto, con un notevole esborso di denaro pubblico e con “l’uso improprio del potere di ordinanza per fare fronte ad un evento che non ha il carattere dell’imprevedibilità, essendo stato determinato solamente dal comportamento moroso del comune”); d) erano stati completamente elusi i criteri di imparzialità riguardo alla “erogazione di ingenti somme a titolo di contributo disposto dal comune ad una associazione il cui presidente rivestiva la carica di assessore con delega alle politiche sociali turismo e spettacolo”, amministratore che aveva inoltre “preso parte alle delibere” che disponevano detta erogazione “incorrendo in evidente conflitto di interessi”.

È stata in definitiva riscontrata “una generalizzata e diffusa situazione di disfunzione, inerzia ed illegittimità dell’azione amministrativa che determina l’impossibilità di risolvere questioni fondamentali per la vita dell’ente e si è tradotta sovente in determinazioni finali a vantaggio della rete di interessi espressi dal mondo affaristico locale, nel quale si muove la criminalità organizzata” (questo “clima di grave condizionamento e degrado in cui versa il comune di Nettuno la cui capacità volitiva risulta compromessa dalla interferenza di personaggi legati a sodalizi criminali” e “l’inosservanza del principio di legalità nella gestione dell’ente e l’uso distorto delle pubbliche funzioni” avevano dunque “pregiudicato le legittime aspettative della popolazione ad essere garantita nella fruizione dei diritti fondamentali, minando la fiducia dei cittadini nella legge e nelle istituzioni”).

Nella relazione viene infine chiarito che l’intervento risolutore da parte dello Stato si è reso “ancor più necessario a seguito dei recenti sviluppi delle attività investigative che hanno portato all’applicazione da parte della magistratura penale della misura degli arresti domiciliari per il reato di associazione a delinquere nei confronti di soggetti, per alcuni dei quali è stato accertato in sede di accesso il legame con l’apparato gestionale dell’ente”, provvedimento dal quale “si evince altresì l’incidenza del fenomeno criminoso nel tessuto economico e sociale di quell’ente” (così come è stata giudicato sintomatico della interferenza malavitosa  il “provvedimento di custodia cautelare in carcere da ultimo emesso nei confronti di alcuni dirigenti ed ex amministratori del comune di Nettuno, indagati per reati di particolare gravità, unitamente ad un noto esponente della criminalità organizzata”).

Orbene, ritiene il Collegio che le analitiche rappresentazioni della situazione ambientale riportate nella relazione ministeriale e nella relazione della commissione di accesso non siano intaccate dalle contestazioni dei ricorrenti, i quali deducono: a) che la misura restrittiva assunta nei confronti del dott. Boni, dirigente del settore economico-finanziario del Comune, era stata annullata con ordinanza del 9.12.2005 (nella relazione non sarebbe nemmeno indicato alcun comportamento suscettibile di far ritenere questo soggetto collegato con consorterie mafiose, essendo del tutto irrilevanti, in difetto di adeguata esposizione dei fatti, i pretesi “passaggi finanziari” con un esponente della malavita); b) che dovevano reputarsi del tutto legittime le assunzioni, a giudizio del Ministero effettuate in spregio alla legge finanziaria 2003 (le anomalie consisterebbero nell’indizione di due concorsi con atto dirigenziale, ma con nomina della commissione da parte della giunta, nello scorrimento di una graduatoria concorsuale e nell’assunzione della moglie del predetto dirigente), trattandosi di assunzioni a tempo determinato in favore di alcuni soggetti (agenti di polizia municipale) risultati idonei in una precedente procedura selettiva (la nomina della commissione da parte della Giunta sarebbe prevista dal vigente regolamento comunale sui concorsi); c) che sarebbe del tutto errato il giudizio espresso con riferimento alla situazione finanziaria dell’ente, dovendosi tener conto sia di quanto riconosciuto dalla Corte dei conti sia dell’incremento delle entrate negli anni 2004 e 2005; d) che la “cartolarizzazione” posta in essere dalla società di servizi del Comune sarebbe del tutto legittima e non evidenzierebbe alcun legame con esponenti della criminalità organizzata; e) che le eventuali “assunzioni”, da parte dell’anzidetto organismo societario, di soggetti collegati ad amministratori andrebbero imputate alla precedente amministrazione; f) che nessun problema deriverebbe dal rilascio tempestivo dei titoli edilizi; g) che negli ultimi anni non sarebbe stato rilasciato alcun permesso edilizio  in variante; h) che sarebbe irrilevante tanto la circostanza della effettuazione di trasferimenti immobiliari al solo fine di impedire la decadenza dei permessi a costruire (attesa l’inesistenza di disposizioni sul controllo delle provenienze dei capitali utilizzati per le compravendite), quanto la mancata repressione degli abusi edilizi, stante la normativa statale sul condono; i) che la “concessione demaniale” indicata in relazione sarebbe stata rilasciata in modo legittimo, mentre la nomina del concessionario (soggetto imputato del reato di associazione) nel consiglio di amministrazione di una casa di riposo di proprietà comunale andrebbe ascritta al precedente consiglio comunale; l) che la “casa-famiglia” indicata in relazione sarebbe stata interamente finanziata dalla Regione Lazio, essendosi il Comune limitato a concedere la dovuta autorizzazione per il suo funzionamento; m) che i contratti di appalto sarebbero stati sempre conferiti ad aziende in possesso di negativa certificazione antimafia, mentre gli altri servizi comunali sarebbero stati affidati in modo del tutto legittimo (non emergendo comunque collegamenti di sorta con la criminalità organizzata); n) che parimenti conformi a legge sarebbero i provvedimenti sullo stoccaggio dei rifiuti, in relazione ai quali non risulterebbero collegamenti con soggetti “mafiosi”; o) che sarebbero infondate in fatto le circostanze dell’erogazione di un contributo a un’associazione privata (la Pro Loco), presieduta dall’assessore al ramo (peraltro allontanatosi prima della discussione e rientrato in aula dopo la deliberazione del beneficio); p) che non sarebbero chiari i legami con il crimine organizzato della società concessionaria del porto turistico di Nettuno.

Ora, al di là della correttezza di alcune affermazioni, sta il fatto che i ricorrenti non sono in grado di confutare il complessivo giudizio sulle acquisizioni probatorie in ordine a collusioni e condizionamenti, che non può certo esser revocato in dubbio “estrapolando dal materiale acquisito singoli fatti ed episodi, al fine di contestare l’esistenza di taluni di essi ovvero di sminuire il rilievo di altri in sede di verifica del giudizio conclusivo sull’operato dell’organo consiliare”.

Si deve infatti chiarire che “gli elementi addotti a riprova di collusioni, collegamenti e condizionamenti vanno considerati nel loro insieme, giacché solo dal loro esame complessivo può ricavarsi la ragionevolezza dell’addebito mosso al Consiglio comunale di incapacità, nel determinato contesto e a prescindere da responsabilità dei singoli, di esercitare l’attività di controllo e di impulso cui è deputato per legge; il che legittima l’intervento statale finalizzato al ripristino della legalità ed al recupero della struttura pubblica ai propri fini istituzionali” (così Cons. Stato, sez. IV, n. 1573/2005 cit.).

Anche nella fattispecie in esame viene dunque “amplificata” dai ricorrenti la rilevanza di singoli episodi e di alcune inesattezze in ordine all’attività gestoria dell’ente, che non sminuiscono comunque gli elementi di collegamento tra esponenti dell’organo elettivo e appartenenti alla malavita organizzata, di talché le censure prospettate non appaiono in grado di scalfire l’“attendibilità complessiva degli elementi che, a giudizio (ampiamente discrezionale) dell’amministrazione, denotano l’esistenza di collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata” ovvero la “logicità dell’apprezzamento in ordine alle conseguenze negative che ne deriverebbero in termini sia di compromissione della libera determinazione dell’organo elettivo sia di pregiudizio del buon andamento dell’amministrazione e del funzionamento dei servizi”.

D’altronde, un “esame più penetrante” di questi profili verrebbe inammissibilmente ad impingere nel merito delle valutazioni alla base del provvedimento di scioglimento.

3. In conclusione, il ricorso è infondato e va pertanto respinto.

Sembra equo disporre l’integrale compensazione delle spese di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione prima, definitivamente pronunciando, respinge il ricorso.

Spese compensate.

La presente sentenza sarà eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 7 giugno 2006.

Il Presidente

L’estensore