Stefano Cucchi, 3 carabinieri a rischio processo per depistaggio. I pm: ‘Dissero il falso durante l’indagine e il processo’

Per la vicenda di Stefano Cucchi, il geometra romano morto nell’ottobre del 2009, altri tre carabinieri rischiano di finire sotto processo per le pesanti accuse di depistaggio e falso. Gli indagati sono accusati dalla Procura di Roma, che ha proceduto nei giorni scorsi alla chiusura delle indagini, di avere detto il falso durante le indagini e anche in aula nel processo ‘Cucchi Ter’ che vedeva imputati appartenenti dell’Arma accusati di avere depistato le indagini sulla morte del trentenne.

A rischiare il rinvio a giudizio sono un maresciallo presso la stazione di Tor Sapienza, lex capitano e comandante della sezione infortunistica e polizia giudiziaria presso il nucleo Radio Mobile di Roma e un collega di quest’ultimo  all’epoca dei fatti maresciallo. Per loro l’udienza preliminare è fissata al prossimo 21 dicembre.

Nel procedimento risultano parti offese il Ministero della Giustizia, la sorella di Cucchi, Ilaria e il padre Giovanni oltre ad agenti della polizia penitenziaria e il carabiniere Riccardo Casamassima che con le sue dichiarazioni ha contribuito alla riapertura delle indagini.

Nel processo principale sui depistaggi, nell’aprile del 2022, il giudice monocratico ha emesso otto condanne. Tra i militari dell’Arma coinvolti anche il generale Alessandro Casarsa, a cui furono inflitti 5 anni di carcere, e il colonnello Lorenzo Sabatino, condannato ad 1 anno e tre mesi. In quel procedimento il pm Giovanni Musarò contestava, a seconda delle posizioni, i reati di falso, favoreggiamento, omessa denuncia e calunnia.

Nelle motivazioni di quella sentenza il giudice ha scritto che “l’attività istruttoria dibattimentale ha permesso di ricostruire i fatti contestati e di accertare un’attività di sviamento posta in essere nell’immediatezza della morte di Cucchi, volta ad allontanare i sospetti che ricadevano sui carabinieri per evitare le possibili ricadute sul vertice di comando del territorio capitolino”. E ancora: “la versione ufficiale dell’Arma era stata ‘confezionata’ escludendo ogni possibile coinvolgimento dei militari così che l’immagine e la carriera dei vertici non fosse minata. Allontanando i sospetti dai carabinieri non poteva di certo mettersi in discussione l’azione di comando da parte del vertice del Comando Gruppo Carabinieri Roma la cui figura rischiava di essere quanto meno indebolita dalla vicenda”, ha concluso il giudice nella sentenza di primo grado.