Gesù nasce a Betlemme per fare di noi i profeti del Principe della Pace
«Mentre su tutta la terra regnava la pace…»: con queste parole si annuncia la nascita di Gesù nella suggestiva liturgia della Notte di Natale. Parole solenni, spesso cantate, della cosiddetta Kalenda, provenienti dall’antico Martirologio Romano, che rievocano epoche antiche e diversi riferimenti per contare il tempo. Dio è davvero entrato nella storia del mondo. Il Natale di nostro Signore Gesù Cristo secondo la carne divide la storia in due e le dà una direzione nuova e un senso completamente diverso.
Da una pace che “regna su tutta la terra”, noi oggi siamo ben lontani. Non parlano di pace le notizie martellanti che ogni giorno arrivano nelle nostre case. Sentiamo piuttosto il suono di allarmi, il boato delle bombe, il rumore della distruzione, il lamento di chi grida la sua disperazione e di chi piange un familiare sotto le macerie di case distrutte. Il virus della guerra si allarga nel mondo e divampa nuovamente proprio in quella terra che Dio ha scelto per manifestarsi. Anche sul cielo di Betlemme, non lontano dalla striscia di Gaza, la splendida città di Davide nella quale Giuseppe, da Nazaret, andò «per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, Maria, che era incinta» (Lc 2, 5), sono scoppiati razzi di guerra ed è piombata l’angoscia. Ci può lasciare indifferenti che proprio quella terra, dove è nata la nostra fede, riprodotta con tanto amore e maestria nei nostri presepi, è ora un luogo di guerra, distruzione, vendetta e odio a cui sarà molto difficile rimediare?
Mentre il nostro pensiero va alle famiglie e alle persone della Terra Santa, sia palestinesi che israeliane, che vivono il terrore e l’escalation delle violenze, non possiamo accontentarci solo di contraccolpi emotivi di una situazione così. Non ci consola nemmeno sapere, secondo il parere degli esperti, che quel conflitto, talvolta aperto, talvolta latente, è stato da sempre percepito dai più come un punto critico, una ferita sanguinante, un ostacolo permanente alla realizzazione della pace mondiale. Non ci bastano le analisi e nemmeno i numeri. Abbiamo bisogno di un «Principe della Pace» (Is 9, 5), che come una sentinella fuori dal coro dica a noi e a tutto il mondo che la pace non è un sogno irrealizzabile, che la convivenza di persone diverse, di culture, religioni e opinioni differenti è una realtà possibile. Che l’accoglienza, il rispetto, la ricerca di un bene che vada oltre le pretese dei singoli è una strada davvero percorribile.
Mai come in questo tempo avvertiamo l’urgenza di profeti di pace. Pensiamo a Papa Francesco, che da quasi due anni implora la ricomposizione dei conflitti, reclama la difesa degli innocenti in ogni udienza, discorso o intervento pubblico. Ma pensiamo anche a quanti si mettono al servizio della pace, scegliendo di costruire invece di distruggere, di compiere gesti di tenerezza, alternativi e più efficaci della violenza.
Profeti di pace possiamo diventarlo anche noi, facendoci più responsabili dell’altro e dei suoi bisogni, interessandoci di chi è diverso e promovendo la cultura del dialogo e dell’accoglienza. Rivolgo per questo un cordiale augurio di buon Natale alle autorità civili e militari della nostra diocesi, che in questo tempo hanno un compito speciale da svolgere in ordine alla promozione di questa cultura della pace e della solidarietà. Desidero rivolgere un augurio particolare anche a tutti quelli che ricoprono ruoli educativi, perché educare le nuove generazioni è la sfida più avvincente per costruire un futuro diverso. Il nostro mondo, la nostra società ha bisogno di giovani capaci di guardare la realtà per quello che è, di saperla però anche trasformare con la virtù della speranza che ci spinge a lottare per il bene, di rifiutare certi linguaggi polarizzati, di compiere scelte concrete e coraggiose. Lo hanno affermato con gioia e con forza i giovani della nostra diocesi nel loro raduno diocesano a Torvajanica in occasione dell’ultima Giornata mondiale dei giovani.
Betlemme significa letteralmente «casa del pane». Il pane è l’elemento semplice della quotidianità, della vita di tutti i giorni. Il pane richiama la ferialità, nella quale possiamo e siamo chiamati a diventare operatori di giustizia, artigiani di concordia. Giungano i miei auguri a tutte le famiglie, specialmente a quelle in cui quotidianità significa più di tutto fatica, quelle in cui i rapporti sono in difficoltà e quelle in cui sempre più spesso non manca il lavoro, ma il reddito non è sufficiente a una vita dignitosa.
«Casa del pane» richiama anche la semplicità, il gusto delle cose vere e più importanti. Questo Natale sia per tutti il tempo in cui non dare per scontato nulla, guardare anche alle cose più piccole con tanta gratitudine, imparare a lodare Dio per il dono di chi ci è accanto e ci sostiene.
Sia questo il Natale in cui pensare a Betlemme per ringraziare di quel Bambino che è nato, Salvatore di tutti: in Lui possiamo attendere, e non solo sognare, che il canto della pace torni a riempire Betlemme e tutta la Terra Santa e da lì raggiunga ogni latitudine di questo mondo, in cui il Signore è venuto «ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14); tocchi ogni cuore di questa umanità, che il Figlio di Dio ha assunto nella sua nascita a Betlemme.
Natale, 2023
Vincenzo Viva Vescovo di Albano