Dal patto per un nuovo welfare gravi proposte di arretramento sui diritti fondamentali di malati e persone con gravi disabilità
Nel 45° anniversario dell’istituzione del Servizio sanitario nazionale, pubblico e universalistico (23 dicembre 1978), il Coordinamento per il diritto alla sanità per le persone malate e non autosufficienti (Cdsa) rilancia il percorso di difesa del diritto alla salute dei malati non autosufficienti, specialmente anziani, con Alzheimer o altre demenze, e la mobilitazione civica seguita all’approvazione della negativa legge 33/2023, cosiddetta legge sulla non autosufficienza. I rappresentanti del Coordinamento, che raccoglie venti organizzazioni di tutela dei diritti dei malati o delle persone con grave disabilità non autosufficienti, rilanciano l’appello ad essere auditi con urgenza dal Governo per la scrittura dei decreti attuativi, affinché in essi sia confermata la tutela sanitaria universalistica e di lunga durata per i malati non autosufficienti, limitando il più possibile gli effetti negativi ed emarginanti della legge.
La norma è ferma al palo ed è «una buona notizia, per una pessima legge». È saltata la nomina entro 90 giorni dall’approvazione (marzo 2023) del CIPA (il Comitato interministeriale per le politiche in favore della popolazione anziana) e la legge di bilancio non prevede fondi specifici per la norma, mentre le tutele dei Livelli essenziali di assistenza sanitaria e socio-sanitaria per i malati non autosufficienti sono – ovviamente – salvaguardate. Fermi anche i decreti attuativi sulle questioni più delicate: l’istituzione di un SNAA (Sistema nazionale per la popolazione anziana non autosufficiente) in cui la legge punta ad emarginare malati e persone con disabilità non autosufficienti e l’istituzione della misura universale per la non autosufficienza, che annullerebbe l’indennità di accompagnamento, dirottandola sui servizi gestiti da privati.
«Sono tutti elementi che confermano quanto abbiamo sostenuto fin dai disegni di legge preparatori della norma – spiegano Laura Valsecchi di Medicina democratica e Maria Grazia Breda, presidente della Fondazione promozione sociale -: non assicura diritti esigibili e prospetta un sistema di minori tutele, in cui la limitazione delle risorse ‘comanda’ sui diritti degli utenti: basta non finanziare gli interventi, per annullare il diritto dei malati, ridotti a casi sociali e non più riconosciuti nel loro status di persone titolari del fondamentale diritto alla tutela della salute».
Eppure, le ragioni di preoccupazione rimangono, osserva Donatella Oliosi, presidente dell’associazione Di.A.N.A. di Verona: «Il termine per l’approvazione dei decreti attuativi è fissato dalla legge al 31 gennaio 2024: un tempo diventato strettissimo per approvare documenti fondamentali, che rendano inoffensiva una legge che ha il dichiarato proposito di spostare tutti i non autosufficienti (vecchi malati e persone con disabilità) in un settore socio-assistenziale (e non sanitario), non tutelato da diritti esigibili, certezza delle risorse e delle prestazioni».
Il Cdsa, riafferma la necessità della tutela sanitaria dei non autosufficienti per le cure di lunga durata, così come già sancita dalla Costituzione dalla legge fondamentale del Servizio sanitario (833 del 1978) anche a fronte delle proposte disomogenee ed emarginanti del «Patto per un nuovo welfare», i cui rappresentanti si siedono alternativamente al tavolo degli estensori delle norme (come il gruppo di lavoro presso il ministero delle Politiche sociali sulla legge 33) e dei rappresentanti della «società civile», che ovviamente appoggiano quella norma discriminante.
Irricevibile il loro Manifesto del 14 dicembre sulle prestazioni domiciliari di lunga durata per i malati e persone con disabilità non autosufficienti, relegata alla semplice badantato, con eventuale aiuto assistenziale vincolato al reddito o ad un fondo a risorse limitate. E anche sulle strutture residenziali, i rappresentanti del Patto non sostengono la necessità della qualificazione sanitaria delle Residenze sanitarie assistenziali (Rsa), sempre più luogo di ricovero di malati con elevatissimi bisogni clinici, ma scarsi standard di qualificazione degli operatori e presenza clinica.
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