Per ridurre le interminabili liste d’attesa, la Regione Lazio ha avviato un’iniziativa che prevede il contatto diretto dei pazienti tramite il CUP regionale per proporre l’anticipo delle visite. Tuttavia, quello che potrebbe sembrare un passo avanti nella gestione della sanità pubblica si sta rivelando per molti un’esperienza frustrante e, a tratti, beffarda.
Emblematico è il caso di una coppia di anziani di Anzio. Alla moglie è stata proposta l’anticipazione della visita di tre mesi, ma con una condizione surreale: recarsi a Viterbo, a oltre 100 chilometri di distanza, una soluzione impraticabile per una coppia con evidenti difficoltà logistiche. Al marito, invece, è stato offerto un “anticipo” della visita di febbraio… di appena un giorno. Un dettaglio che, più che risolvere il problema, sembra aggiungere ulteriore amarezza alla già complicata gestione della salute.
Questi episodi mettono in luce una realtà sconcertante: non solo le liste d’attesa rimangono un problema strutturale, ma le soluzioni proposte sembrano mancare di un reale senso pratico. Per molti pazienti, il sollievo della riduzione dei tempi si trasforma in un’ulteriore fonte di stress, aggravata dall’assenza di alternative compatibili con le loro necessità.
Le critiche non tardano ad arrivare. “Chiamare i pazienti per anticipare le visite è un’idea sulla carta positiva, ma è inaccettabile che le soluzioni siano così distanti dalla realtà quotidiana delle persone,” affermano dalla Rete Nobavaglio Proporre appuntamenti in sedi lontane o anticipi insignificanti come quello di un giorno è semplicemente una presa in giro.”
In questo contesto, l’iniziativa della Regione Lazio rischia di diventare un simbolo delle contraddizioni del sistema sanitario: mentre si cerca di tagliare i tempi, si dimenticano le esigenze reali dei cittadini, trasformando un’operazione pensata per migliorare il servizio in un’ulteriore fonte di disillusione.