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Anzio, Nettuno. Cittadinanza onoraria, l’ANPI e “La Tamerice” chiedono il riconoscimento per Adele Di Consiglio e Don Mattia Ferrari

Anzio e Nettuno voltano pagina: dopo la revoca della cittadinanza al dittatore Benito Mussolini, ora l’ANPI e “La Tamerice” chiedono il riconoscimento per Adele Di Consiglio e Don Mattia Ferrari

Dopo un secolo di silenzio e imbarazzo istituzionale, Anzio e Nettuno hanno cancellato la cittadinanza onoraria conferita a Benito Mussolini nel 1924. Un atto che ha avuto valore soprattutto simbolico, e arrivato in un momento storico preciso: l’80° anniversario della Liberazione dal nazifascismo. Un segnale che è andato oltre la forma, perché ha affermato con chiarezza che il tempo della neutralità è finito e che i Comuni non potevano più convivere con un’eredità che contraddice i principi stessi della democrazia.

A guidare questa scelta è stata la pressione civile e culturale di due realtà radicate sul territorio: l’ANPI – sezione “Mario Abruzzese e Vittorio Mallozzi” di Anzio e Nettuno – e l’Associazione culturale “La Tamerice”. Per anni, le due associazioni hanno sollecitato le amministrazioni a compiere gesti concreti di memoria, chiedendo non solo di cancellare un titolo vergognoso, ma anche di sostituirlo con onorificenze che incarnino i valori opposti.

Ma per ANPI e Tamerice, non basta liberarsi dell’ombra di Mussolini: occorre riempire quello spazio con volti e storie che parlino di dignità, resistenza e umanità. Da qui nascono le proposte presentate ai comuni di conferire la cittadinanza onoraria a Adele Di Consiglio ad Anzio e a Don Mattia Ferrari a Nettuno.

Adele Di Consiglio nasce a Roma nel 1932. A soli sei anni, come tutti i bambini ebrei d’Italia, subisce l’espulsione dalla scuola per effetto delle leggi razziali del 1938. Dopo l’8 settembre 1943, la sua famiglia cerca rifugio a Roma, ma il 16 febbraio 1944 il padre Davide viene arrestato e, dopo poche settimane, deportato ad Auschwitz, dove morirà in un luogo e in una data rimasti ignoti. Di lui resta solo un numero di matricola: 180007

Altri membri della famiglia vengono catturati e deportati. Adele, con la madre e due fratelli, riesce a tornare ad Anzio nel giugno del 1944. Sopravvive alla persecuzione, ma porta sulle spalle il peso di una storia che oggi è testimonianza viva dell’orrore. Oggi, a 93 anni, vive ancora ad Anzio: il suo nome, sottolineano ANPI e Tamerice, deve essere legato alla città che non ha saputo difendere la sua infanzia.

L’altro nome proposto è quello di Don Mattia Ferrari, sacerdote noto per il suo impegno come cappellano a bordo delle navi della ONG Mediterranea Saving Humans. In mare accompagna equipaggi e volontari che soccorrono migranti, spesso in condizioni disperate. La sua scelta di vita si fonda su principi di accoglienza e fratellanza che non si fermano davanti a confini o polemiche politiche. Per ANPI e Tamerice, Don Ferrari è il simbolo di un’Italia che sceglie la solidarietà invece della paura, la tutela della vita invece dell’indifferenza. In un Paese in cui i migranti sono spesso ridotti a numeri e statistiche, la sua presenza ricorda che ogni persona ha un volto, una storia, una dignità. La proposta di ANPI e Tamerice assume un valore ulteriore se letta accanto ad altre iniziative già avviate dal Comune di Anzio, che ha manifestato la volontà di conferire la cittadinanza onoraria anche a Edith Bruck, scrittrice e testimone della Shoah, e alla stessa Adele Di Consiglio. Un percorso che vuole “ricucire lo strappo” istituzionale lasciato dalle precedenti amministrazioni, troppo a lungo immobili davanti a richieste di giustizia storica.La revoca a Mussolini non è quindi un punto d’arrivo, ma un punto di partenza. È la premessa per restituire senso al gesto della cittadinanza onoraria: non un titolo burocratico, ma un atto che dice da che parte sta una comunità.

Ottant’anni dopo la Liberazione, il territorio che fu teatro dello sbarco alleato nel 1944 sceglie di dare un segnale forte. Anzio e Nettuno, città che conoscono il peso della memoria, affermano che non si può costruire futuro senza chiamare le cose con il loro nome: cancellare l’onore a chi ha inferto odio e persecuzione, restituire dignità a chi ha subito e a chi oggi lotta per salvare vite. Un messaggio che va oltre i confini locali: è l’Italia intera a essere chiamata in causa. Perché la democrazia non si difende solo nelle aule parlamentari o nelle cerimonie ufficiali, ma anche nei gesti simbolici che, come questo, rimettono al centro le persone e i valori che hanno reso possibile la libertà. “Non c’è futuro dove non c’è memoria”

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