Leggo con una certa perplessità le dichiarazioni del Presidente Roberto Alicandri che mi accusa su tutti i giornali di aver tentato di “censurarlo”: come se un consigliere di opposizione avesse il potere di zittire il presidente d’aula. Forse qualcuno dovrebbe spiegargli che sventolare sistematicamente lo spauracchio della censura rischia di apparire un po’ grottesco, soprattutto quando si è lo speaker.
Sostengo che chi ricopre il ruolo di presidente di una assemblea elettiva, che è notoriamente un ruolo di garanzia, dovrebbe sforzarsi di essere un po’ più ecumenico e di interpretare una terzietà che Alicandri non riesce proprio a comprendere. Ci troviamo dinnanzi a un caso di incontinenza istituzionale. Detto in altri termini, Alicandri vuole ricoprire ogni ruolo, vuole fare tutto: il sindaco ombra, il presidente del consiglio, il capogruppo del Pd (che è sempre lui), l’assessore multidelegato, talvolta vuole fare anche l’opposizione (interna): per rimanere allenato, perché non si sa mai.
Tuttavia, per il suo ruolo – quello che ricopre formalmente, intendo -, sarebbe opportuno un richiamo al buon senso, una maggiore sobrietà. Il presidente del Consiglio dovrebbe essere figura super partes, non utilizzare lo scranno più alto dell’aula per attacchi politici contro una consigliera, per giunta assente. Le regole (anche quelle non scritte ma che sono la grammatica della politica!) valgono per tutti, anche – e soprattutto – quando garantiscono chi ci è lontano ideologicamente. E l’abuso di una posizione di forza, da qualunque parte arrivi, mi resta indigeribile.
Così, per aver difeso questo principio, Alicandri mi rimprovera di ambiguità politica, di equilibrismo: non sarei di centrosinistra a suo dire perché non appartenente alla sua coalizione. Una tesi che, francamente – vista la situazione – mi pare un po’ azzardata!
Vale forse la pena ricordargli che la sua maggioranza – che si definisce di centrosinistra – non è riuscita nemmeno a votare autonomamente la revoca della cittadinanza onoraria a Mussolini da lui fortemente voluta. Una parte consistente della sua coalizione, evidentemente, non condivide né la linea nazionale del PD né quella di Alicandri stesso. Senza il sostegno del Patto per Nettuno, che ha garantito il numero legale, Alicandri e il Partito Democratico sarebbero finiti sui giornali nazionali per aver confezionato la prima amministrazione italiana «di centrosinistra» perplessa perfino sull’antifascismo.
Tra l’altro, ci sarebbe anche da soggiungere, come è noto, che chi ha sostenuto alle elezioni Alicandri consentendogli di essere il primo degli eletti, è stata una delle figure – che stimo – più rappresentative del centro-destra degli ultimi vent’anni a Nettuno. Non è certo un mistero. Tutto perfettamente legittimo, tutto perfino comprensibile: ma che Alicandri ci venga a dare lezioni di collocazione ideologica mi sembra un po’ troppo.
A parte le intemperanze e il ruolo che proprio non si addice al suo profilo, rimane ferma la stima per un politico che considero di indiscusso spessore. Decano del pragmatismo e al tempo stesso purista, maestro dello scontro ideologico e contemporaneamente tessitore di larghe intese di palazzo: un po’ Marco Pannella, un po’ Gianni Letta. Il nostro presidente è un governista da Prima Repubblica capace di sopravvivere a qualsiasi stagione, un mix di protagonismo e vittimismo alternati con inimitabile maestria. Prende i voti anche dalla sinistra radicale pur essendo il più centro-destrista della sinistra locale (e ce ne vuole!). Un’abilità straordinaria, un mistero di San Gennaro, un misto di talento e mimetismo. Oggi accusa me di strizzare l’occhio alla destra, ma credo sia solo un fatto di gelosia: conoscendolo so che si sente spodestato. Del resto, è da sempre lui il ponte di dialogo, il crocevia del corteggiamento tra schieramenti apparentemente contrapposti.
Vorrei a tal proposito rassicurarlo: caro Roberto, il tuo nei miei confronti è davvero un raptus di gelosia immotivata: il ruolo di equilibrista e di interlocutore privilegiato del centro-destra nettunese lo lascio volentieri a te. Promesso. Con immutato affetto.
Antonio Taurelli