Molteplici opinioni si susseguono nel corso della vita, tanti pensieri che poi cambiano, si modificano, arrivano al traguardo oppure rinascono dalle proprie ceneri. La diversità di questi ultimi è preziosa, sono tutti diversi ma con qualcosa in comune, l’essere qui ed ora. Magari non ci ricorderemo più di loro una volta varcata un’altra fase della vita, ma loro torneranno, sempre e comunque, ad arricchire una conversazione iniziata per caso magari con un perfetto sconosciuto incontrato in un luogo dove non torneremo più e che magari non rivedremo per almeno cinque anni. Tante sono le cose della vita che ci rendono diversi e troppe volte troppe persone dotate di poco senso pratico (e politico) cercano di minare questa realtà naturale. Ma che cosa ci rende tutti uguali e diversi allo stesso tempo? Qual è l’unica cosa che raggruppa tutte le persone di ogni etnia, sessualità, religione e cultura? L’amore, quello uguale per tutti. Questa è la settimana dell’orgoglio di tutte le minoranze che non si sentono rappresentate, di tutte quelle persone che vogliono essere riconosciute da uno Stato disertore e riluttante, di tutti quei cuori che a testa alta lottano per essere riconosciuti. Portate il vostro cuore ad una delle manifestazioni a sostegno dell’amore, siate orgogliosi di essere ciò che siete e siatelo anche se non fate parte delle categorie appena elencate. Noi ve ne saremo riconoscenti. Il film che vi presento questa settimana è stato presentato al settantesimo Festival di Venezia ed è stato il Vincitore dell’appena concluso Mix Festival di Milano. Sì, signori miei, è una storia d’amore, una storia d’amore “diversa“, insolita; come dicevo prima, una di quelle riluttanti agli occhi esterni, scomoda, codificata in quel codice (a sbarre) che molti definiscono “innaturale“. Il regista, in un’intervista apparsa sul sito www.psychiatryonline.it ha dichiarato che: “Il cinema è la più profonda e potente forma di propaganda al mondo, per cui può essere usata per combattere qualunque cosa, incluso l’omofobia. L’omofobia, però, è un fenomeno davvero complicato, ed ecco che è un compito di registi come me di esplorarla in un modo complesso e sofisticato. Ad esempio, il mio film “Skin Flick” ruota attorno ad un gruppo di skinheads neonazista che hanno rapporti omosessuali tra di loro che non sono identificati come gay, tanto che sono omofobi ed odiano quanti chiamino sè stessi gay E’ una strana e perversa psicologia che coinvolge la negazione, la proiezione, l’omofobia interiorizzata e via dicendo.” Della durata di ottantadue minuti, di produzione canadese, a colori, prodotto da Nicolas Carmeau, Leonard Farlinger e Jennifer Jonas, fotografia di Nicolas Canniccioni e diretto da Bruce LaBruce: “Gerontophilia” è la storia di Lake (Pier-Gabriel Ljoie) un ragazzo che vive le sue giornate dividendosi tra la passione per la lettura, occupandosi della madre davvero troppo allegra per i suoi gusti e la sua fidanzata Desiree (Katie Boland). Grazie all’aiuto della genitrice trova impiego in una casa di riposo. Qui si rende conto di avere una caratteristica ben visibile ad occhio nudo: l’attrazione per gli uomini molto, molto più anziani di lui. Insomma, Lake svolge le sue mansioni di tutti i giorni, ovvero svuota le padelle piene, pulisce i corpi degli ospiti della casa e qualche volta si ferma a giocare a Backgammon con alcuni di loro. La sua è una dimensione perfetta. Desiderato, desiderabile ed attratto. Una mattina conosce lui, Mr.Peabody (Walter Borden) vecchio e malato ma con un carattere che fa perdere al Luke il lume della ragione. I due cominciano dapprima a scambiare qualche battuta dettata dal senso del dovere, ma poi gli incontri diventano più frequenti e Luke cerca di andare a trovarlo sempre più spesso fino ad arrivare al punto da serrare la porta della stanza con una sedia per impedire che l’infermiera (complice silente del tutto) entri e scopra i loro incontri a base di gin, risate e tanta, tanta naturalezza.
Dapprima lo spettatore non pensa subito al sentimento, ma poi, con l’incedere dei fotogrammi qualcosa cambia, impercettibile, agli occhi; ed è subito quell’amore che occupa tutto lo schermo. La coppia sembra molto solida fino a tal punto da far confessare a Mr. Peabody il suo più grande desiderio: rivedere l’oceano Pacifico. E così, come se nulla potesse cambiare il corso degli eventi, l’aitante Lake lo “rapisce” ed entrambi partono alla lontanissima volta del continente acquatico. Il viaggio sarà una liberazione per entrambi; per Jake dalla vita, per Mr.Peabody dalla morte. I due parleranno, si confronteranno, si ingelosiranno e litigheranno per buona parte del viaggio ma sempre rispettandosi e amandosi reciprocamente. Grazie ai numerosi cambi di “interni” il film scorre tranquillo e placido. Come avete potuto notare, la trama non si distingue affatto per originalità: il soggetto è quello che modifica le carte in tavola e che fa “stonare” la dolce narrazione appena raccontata. Per quale motivo scrivere una sceneggiatura sull’amore gay di un diciottenne e di un’ottantenne; perché rischiare di compromettere una carriera, perché tirarsi dietro le critiche, perché farlo? Ve lo dico io: per senso di realtà e di verità, quella stessa verità che ogni giorno è sotto gli occhi di tutti e che tutti potrebbero vedere se solo i loro occhi non fossero foderati di mortadella tagliata spessa quasi come un vinile; voi potete anche esagerare con i grassi suini, ma qui, in questo film, non c’è nulla di pesante se non il respiro affannoso degli spettatori in ansia di sapere che cosa succede dopo. L’amore vince su tutto, siate in grado di capirlo una buona volta come l’ho capito io. Non è facile, ci vogliono mesi, anni addirittura, ma se solo si riuscisse a comprendere questa cosa molte persone in più su questa terra sorriderebbero. La regia è dettata dagli attori, ruota attorno a loro, è il fantasma, il narratore onnisciente anche se muto. I dialoghi sono semplici, moderati e mai volgari, vige l’assoluta bramosia di conoscere la riposta dell’atro, in continuazione.
Insomma, “Gerontophilia” è un film poco comune per persone poco comuni. Volete fare parte della massa, accomodatevi in un’altra sala, ma se volete davvero vedere “dove risiede la tana del bianconiglio” vi suggerisco vivamente di andarlo a vedere. “E poiché le impressioni che per me davano valore alle cose erano quelle che gli altri o non provano, o rifiutano come insignificanti senza pensarci, e di conseguenza se avessi potuto comunicarle sarebbero rimaste incomprese o sarebbero state disprezzate, esse mi riuscivano completamente inutilizzabili, e avevano anzi l’inconveniente di farmi passare per stupido“. Non siate come quegli stupidi narrati da Proust e non andate ad etichettare questo lavoro come “uno scandalo dal quale ci si deve allontanare”. Chi siamo per giudicare, noi?