Questa mattina è ancora buio e le strade libere, quelle di periferia. Vado al lavoro, un po’ assonnato, sbadiglio e sento il rumore del motore, i sobbalzi sullo sconnesso e la radio in sottofondo. Quei quattro chilometri di strada di campagna l’automobile li percorre a memoria, conosce gli incroci, le curve, le buche sull’asfalto, il cavalcavia, go end stop automatico. Guardo i display al centro del cruscotto; data ed ora: sono le 6 e 26. Delle ombre al lato della strada. Cavolo! non li avevo visti! Due, tre, quattro biciclette, un colpo di sterzo per allargare, uno per evitare il furgone che viene di fronte; dumm, ho preso una buca. Mannaggia st’indiani! Come li vedi se non hanno le luci né giubbetto né niente? Vanno verso Campoverde a raccogliere l’uva o a piantare i broccoletti. Uno avanti gli altri dietro, in fila. L’ultimo è un po’ staccato dal gruppo, ha il telefonino all’orecchio e si agita. E’ rimasto indietro perché parla con un parente ed è contento, non dello scampato pericolo di finire sotto una ruota, non se n’è accorto. Parlano di affetti e di speranze e che a casa loro il sole è già alto e che stanno tutti bene. Luce anteriore bianca a tre led, luce rossa posteriore lampeggiante, accessori per il fissaggio sul manubrio e dietro la sella; tutto il kit euro cinque e ottanta. Ma non sono tra gli attrezzi individuali in dotazione del lavoratore.