di Roberta Sciamanna
“Non servono buone orecchie per poter sentire”. Dalla certezza che non esiste un solo modo per ascoltare la realtà, nasce lo spettacolo di Giovanna Rinaldi, regista, coreografa e performer Lis (lingua dei segni italiani in acronimo). Un progetto nuovo e apprezzatissimo dal pubblico di Villa Adele, che attraverso “La voce nel silenzio” si è confrontato per la prima volta con due mondi apparentemente distanti, danza e teatro, fusi eccezionalmente. Uno spettacolo realizzato a tempo di record, come racconta Giovanna Rinaldi, una lunga esperienza alle spalle, attualmente docente di danza propedeutica-acrobatica e contemporanea presso il Centro Artistico internazionale il Girasole. Andato in scena nei giorni scorsi, al teatro all’aperto di Anzio, “La voce del silenzio” è un prodotto artistico che rimane nel cuore e colpisce in profondità, interpretato da Claudia Mascia e presentato dalla cooperativa sociale Cassiopea, che sostiene progetti di integrazione sociale. Sul palco si alternano cantanti, ballerini, attori e musicisti, interpreti Lis, in un contesto coreografico che racconta i sogni e i bisogni dell’uomo contemporaneo.
Il tema è legato all’ascolto. “L’idea di mettere in scena uno spettacolo in lingua dei segni nasce da un’idea mia e di Claudia Mascia, responsabile dell’area sensoriale della Cassiopea – dice Giovanna – Abbiamo provato ad unire due mondi, apparentemente distanti l’uno dall’altra: la danza, il teatro, l’arte con la lingua dei segni, principale forma di comunicazione per le persone sorde”. Rendere accessibile la musica e non solo a chi non può sentire.
Un paradosso, si direbbe, ma nell’arte è vero tutto e il contrario di tutto, ed è proprio sul “sentire” la chiave di apertura dello spettacolo, “che gioca sul doppio senso di questo verbo – continua la regista – Lo spettacolo è stato realizzato con sole due settimane di prove intense, perché ci abbiamo creduto da subito. Abbiamo formato un gruppo che da subito si è appassionato all’esperimento. Abbiamo affrontato la preparazione in maniera del tutto naturale semplicemente imparando l’uno dall’altro. Non è stato semplice stabilire né capire tempi e modi di lavoro, ma la voglia di fare e di comunicare ha superato ogni barriera. Ci tenevo a insistere sul tema dell’ascolto perché l’uomo moderno vive nel caos quotidiano e non è in grado, spesso, di ascoltare se stesso. Le diverse “stanze” che appaiono nello spettacolo rappresentano proprio il ciclo vitale dell’uomo, l’amore, la famiglia, il tempo e l’integrazione, tutti punti fondamentali della società e della vita di noi tutti. Mentre scrivevo questo spettacolo avevo la testa ricca di idee, metterle insieme e trovare la chiave più semplice mi spaventava avendo così poco tempo… Ma tutti i dubbi entrando in sala prove sono svaniti grazie alla collaborazione e alla bravura di tutti i performer. Sembrava che tutti conoscessero già ogni piccola sfumatura che volevo descrivere e raccontare. Ringrazio di cuore tutti e in particolare Anna Palombo e Claudia Mascia, con la speranza che la collaborazione sia la prima di una lunga serie”.