Aree verdi da “adottare”, ecco la proposta di Legambiente e Anziodiva

Una conferenza-dibattito, giovedì scorso, promossa dalle associazioni “Anziodiva” e “Circolo Le Rondini di Legambiente Anzio-Nettuno” per illustrare il frutto del lavoro comune che le ha coinvolte negli ultimi mesi: una proposta di Regolamento comunale per favorire il recupero delle decine di aree a verde pubblico disseminate nel territorio di Anzio, che di fatto verdi non sono semplicemente perché in stato di abbandono. Il presidente di Anziodiva, Bartolo Bartolomei, ha introdotto il tema, accennando brevemente ai risvolti organizzativi con cui si è svolto il lavoro di elaborazione dello studio. Prima di passare la parola ai relatori per l’illustrazione di merito Bartolomei ha invitato il pubblico in sala a preparare eventuali osservazioni da esporre a fine relazione e che sarebbero state oggetto di approfondimento sia immediato sia in successivi tavoli di discussione che l’iniziativa ha espressamente previsto. L’intervento di Ivano Bernardone, consigliere comunale e presidente onorario di Anziodiva ma per l’occasione nella veste di componente di riferimento per i risvolti tecnico-progettuali che il lavoro del gruppo di studio implicava, ha enunciato le quattro macro-finalità su cui il lavoro si basa (fruibilità pubblica delle aree, coinvolgimento virtuoso dei cittadini, sensibilizzazione ambientale, creazione di luoghi di socializzazione) e ha introdotto il concetto base del progetto stesso: l’”adozione”, vale a dire una forma di affidamento esterno, temporaneo e severamente regolamentato, di un’area destinata a verde pubblico, dal quale è esclusa la possibilità di ritorni economici per l’affidatario che non siano le mere coperture delle spese sostenute e gli eventuali vantaggi di immagine per sé o la propria attività. L’adozione, ha continuato poi Claudio Tondi incaricato di illustrare più in dettaglio il Regolamento, è stata vista come la soluzione più adeguata per conciliare la messa in circolo del bene pubblico con il coinvolgimento del privato. La questione infatti è sempre la solita: l’ente pubblico non ha fondi, o meglio non ha fondi da destinare a una voce in perdita secca come appunto la manutenzione di uno spazio da tenere curato e decoroso, insomma fruibile dal cittadino. E così lo spazio resta lì, a degradarsi e a degradare l’ambiente circostante, restando spesso addirittura inaccessibile.Abbiamo tutti sotto gli occhi quelle centinaia, a volte migliaia, di metri quadri infestati di erbacce incolte e spesso recintati alla bell’e meglio; alcuni sono spazi privati, altri pubblici ma sono questi secondi in particolare a destare maggior disappunto quando si mostrano trascurati e fatiscenti perché si intuisce che hanno ben altre potenzialità, pronti come sono a rimettersi con poco a nuovo e ad aprirsi all’uso della popolazione se solo ci fosse qualcuno che si facesse carico di curarli. D’altra parte sappiamo pure che a fronte di tante aree così bisognose di cure, esiste una quantità di persone disposte quelle cure a darle; lo smaliziato di turno sorriderà di sufficienza a sentirlo dire ma il contributo che tre o quattro anziani possono dare a risollevare dal degrado un’aiuola, una piazzetta, un’area giochi produce effetti davvero impressionanti. Lo farebbero (lo fanno) gratuitamente, soddisfatti solo di aggiungere un “più” al quartiere e paghi di incassare un guadagno in termini di socializzazione e impegno civile, due voci che assumono per la qualità di vita della terza età un valore inimmaginabile da altre fasce. Ma non sono solo i “nonni” a volersi rimboccare le maniche. Abbiamo schiere di insegnanti che conoscono bene l’entusiasmo con cui i loro studenti si lanciano nelle (rare) iniziative con cui la scuola promuove contatti col territorio; e quanti comitati aggregano nelle loro file persone pronte a cedere tempo e a volte anche denaro pur di vedere “sistemato” un angolo del loro quartiere! Esistono infine imprenditori, commercianti e professionisti che sarebbero pronti a mettere in gioco le proprie capacità tecniche o finanziarie per migliorare questa o quell’area abbandonata. Aver messo mano al problema ha quindi portato davanti agli occhi di chi ci si è dedicato una realtà molto più positiva di quanto si potesse immaginare, l’esistenza cioè di due entità (aree e persone) necessarie una all’altra, che aspettano solo di essere fatte incontrare per attivarsi in maniera virtuosa. Il tutto a condizione che ci si possa muovere in una cornice di regole chiare, entro paletti rigorosi che garantiscano sostanzialmente due principi inalienabili: assicurare la fruizione libera dell’area da parte della cittadinanza e imporre l’assenza di utile economico diretto da parte di chi si dedica alla cura dell’area stessa. Chi ci vuol spendere o lo fa per mecenatismo, quindi in pura perdita, o al massimo può porre in essere soluzioni remunerative tali da assicurare la copertura delle spese sostenute e da sostenere in un piano di valorizzazione (reinvestimento totale degli utili). Ma aree e persone sono, ognuna a suo modo, entità complesse, al cui interno figurano elementi troppo diversi per essere gestiti in maniera univoca. Indispensabile era perciò individuare criteri di classificazione che permettessero la stesura di norme abbastanza generalizzate ma adeguate alle specifiche situazioni. Ecco allora che le aree sono state suddivise in 4 grandi tipi a seconda delle caratteristiche naturali o storiche o di ubicazione che ognuna ha, più una quinta categoria, le aree ad uso pubblico (a.u.p.) per loro natura molto diversificate ma riconducibili secondo i casi ad una delle suddette. La pineta o il sito archeologico protetti vanno valorizzati per essere vissuti ma con limiti, tutele e accorgimenti ben diversi da ciò che si può stabilire per un giardinetto di quartiere o per un’aiuola ricavata dall’incrocio di due strade. Sono state pertanto fissate le caratteristiche di eventuali manufatti in maniera che fossero compatibili con l’area su cui dovrebbero sorgere; sono stati individuati gli usi socio-economici e quelli fisici ammessi per ciascuna area; è stato posto un limite alla durata dell’affidamento a una stessa persona per contrastare il noto e tutto nostro fenomeno dell’accaparramento per inerzia dell’Amministrazione. Sono stati indicati gli àmbiti delle responsabilità delle varie parti in gioco e sono state individuate le procedure di garanzia per la conduzione dell’intero processo: dai criteri di formazione della Commissione che esamina le richieste di adozione, alle sanzioni per le inadempienze, fino alla decisiva e inderogabile regola della trasparenza di ogni informazione inerente al singolo caso. La cosa viene realizzata mediante la pubblicazione su apposito sito web comunale della situazione aggiornata in tempo reale delle adozioni, sia come elenco di aree disponibili e aree assegnate, sia come visibilità delle code delle richieste di adozione, sia infine con la rendicontazione online di ogni movimentazione di denaro intervenuta a qualsiasi titolo su un’area oggetto di affidamento. Si sono aperti a questo punto i microfoni per il pubblico fra il quale va segnalata la presenza dell’assessore all’Urbanistica Attoni e di altri due consiglieri comunali, Lo Fazio e Maranesi. Gli interventi hanno riguardato aspetti e casi che diventeranno oggetto di nuovi specifici tavoli di approfondimento. Fra questi l’oscura e intricata gestione della vasta a.u.p. di via Bougainvillee, l’ingestibilità delle piccole a.u.p. così come il piano regolatore del 2002 le ha introdotte, le perplessità sull’adozione applicata ai siti maggiori, i dubbi sulla compatibilità di piccole attività commerciali con le aree a carattere naturalistico, la soddisfazione per il rilancio di una valorizzazione sostenibile che il Regolamento sembra garantire. E’ intervenuta quindi Anna Tomassetti, presidente del Circolo Legambiente di Anzio-Nettuno “Le Rondini”, che ha sottolineato la valenza di contributo all’educazione ambientale che tale iniziativa può assumere dato che consente l’utilizzo degli apporti privati entro rigorosi margini normativi.