Un anno fa Daniele Leodori, presidente del Consiglio regionale in visita a Nettuno, prendeva impegni affinché il centro Argos diventasse un’eccellenza. Un anno dopo, la struttura di riabilitazione per ragazzi con disabilità sensoriali, neuromotorie e ritardi cognitivi di via Santa Maria Goretti rischia di chiudere. I terapisti, il personale, il presidente della fondazione PlacidoPuliatti che gestisce il centro, sono stanchi di andare avanti alle condizioni attuali. Gli stipendi non vengono pagati da novembre, 120 ragazzi minori che frequentano il centro di Nettuno rischiano di finire in mezzo a una strada, se la Regione Lazio non procederà all’accreditamento. L’attesa d’altronde va avanti da 10 anni… A ragione sono stanchi. E’ del 2004 la legge regionale che stabilisce che le strutture convenzionate con la Asl possono ottenere un accreditamento ed usufruire dei fondi per la gestione dei servizi ai bambini disabili. Nel 2004 la fondazione gestita da Agatina Puliatti, nella splendida struttura immersa nel verde di via dello Scopone, presenta la richiesta. Due anni dopo, a dicembre 2006, ottiene soltanto l’autorizzazione ad operare come ex articolo 26. Anzio e Nettuno risultano infatti territori con estrema richiesta di interventi riabilitativi di questo tipo. L’autorizzazione permette al centro di stare aperto e lavorare. Senza l’accreditamento però, andare avanti è impossibile. “Per dieci anni Asl e Regione ci hanno lasciato sospesi, in un limbo dal quale uscire sembra impossibile – spiega Puliatti – mancando un piano del fabbisogno”.
E’ questa la motivazione ufficiale che impedisce alla Regione di procedere con la revisione dei centri, delle reali esigenze nel distretto della Asl RmH, di una redistribuzione del fabbisogno. L’alibi, per tutti questi anni, è stato che bisognava valutare i centri provvisoriamente accreditati, prima di procedere alla valutazione dei nuovi accreditamenti. Quando finalmente i controlli sulle strutture esistenti finiscono – ci sono voluti tre presidenti della Regione prima di arrivare a dama – spunta un nuovo problema: bisogna raccogliere i dati Asl per Asl e stilare un piano del fabbisogno. Senza il documento l’Argos può anche restare in attesa – e chissà per quanto – visti i tempi biblici che in Italia ci vogliono per fare una qualunque operazione, visti i tempi della sanità, della burocrazia, dei giri che stanno dietro a certi affari. Servono tra gli 800.000 e i 900.000 euro l’anno per mandare avanti un centro di riabilitazione come quello di via Santa Maria Goretti. Fino ad oggi Argos è andato avanti grazie al sostegno dei privati e grazie a un progetto dell’Inpdad rivolto ai familiari di primo grado dei dipendenti pubblici. E tutti gli altri bambini? “Fino al 2012 attraverso questo progetto Inpdad abbiamo ottenuto 6000 euro a ragazzo, con i quali riuscivamo a fare un bel lavoro di assistenza. Dal 2012 – dice Agatina Puliatti – i soldi sono diminuiti. Abbiamo provato ad andare avanti lo stesso, con grandi sacrifici del nostro personale che si è ridotto lo stipendio a 15 euro l’ora pur di prestare assistenza ai bambini disabili. Qui abbiamo bisogno di almeno 400 ore di riabilitazione a settimana. Con il progetto Inpdad ne copriamo solo 250. A novembre il progetto Inpdad tra l’altro si chiuderà ed io sono stanca di lottare da dieci anni per qualcosa che non arriva. Non è un diritto per questi bambini e per le famiglie avere assistenza? C’è una richiesta altissima in questo territorio. Qui da noi vengono famiglie che arrivano da Velletri, Pomezia, Albano. La Regione non si interessa a noi. A queste condizioni non continuiamo. A dicembre ho intenzione, a malincuore, di chiudere questo centro che mio padre, un ipovedente, aveva fato costruire con tanto amore. Non ho alternativa”.
I genitori e il personale nel frattempo non stanno a guardare. In una lettera inviata alla Asl RmH, alla Regione e a tutti i vertici regionali immaginabili, viene chiesto un incontro urgente con il direttore generale della Asl Fabrizio D’Alba affinché interceda con la Regione. Chiedono soluzioni urgenti. Sono furiosi. “Nell’inerzia e disinteresse dimostrato finora da parte della Regione Lazio – è scritto in una lettera durissima – nel formalizzare in quasi un decennio l’accreditamento, lo stesso è riuscito sinora a dare un servizio fondamentale per i nostri figli grazie a progetti con l’Inpdad e attività privata. Gli stessi terapisti non percepiscono stipendi da novembre 2014, non essendo stato onorato quanto dovuto ad oggi dall’Inpdad. Noi genitori non possiamo concepire quanto la insufficiente offerta di riabilitazione sul territorio da parte della Regione, che sinora ha lasciato che le proprie responsabilità venissero surrogate da un centro a cui non è stato riconosciuto l’accreditamento per mera inadempienza di chi non ha in 10 anni redatto un piano del fabbisogno. Ognuna di queste 120 famiglie già con difficoltà sta per perdere un servizio di terapia fondamentale per i propri figli. Se il centro chiude dove faranno la terapia? Sicuramente voi dirigenti, direttori sinora non all’altezza dei doveri conferitivi, vi siete colpevolmente disinteressati della disabilità e delle sue conseguenze sul nostro territorio, trincerati in una dannosa burocrazia. Noi genitori chiediamo che venga garantito il nostro diritto di essere aiutati. Entro massimo una settimana aspettiamo risposte o meglio soluzioni ad una situazione che per troppo tempo è stata trascurata”.