Del suo bambino non ha più notizie da diciassette anni. Oggi Simona chiede aiuto ai social – capaci di mettere in contatto angoli sperduti – per ritrovare il suo Khamil, il bimbo che 24 anni fa ottenne in affido dal comune di Aprilia quando il piccolo, di nazionalità somala, aveva appena 10 mesi. Un amore a prima vista con il bimbo, pelle scura e due occhioni vispi. “Mi chiamo Simona e ho 48 anni – racconta la donna, residente ad Anzio – Sono la mamma di cinque figli, sono sposata con Massimiliano praticamente da una vita: quest’anno festeggiamo il nostro ventiseiesimo anniversario di matrimonio. Esattamente 24 anni fa, ottenemmo in affido dal comune di Aprilia un bambino di origine somala di soli 10 mesi. Dopo solo una settimana ci accorgemmo di essere in attesa del nostro primogenito, ma non ci sfiorò nemmeno per un istante l’idea di rispedire il dolcissimo Khamil al mittente. L’accordo con le assistenti sociali era che dovevamo prenderci cura del bimbo per sei mesi. Diventarono più di sei anni. Il piccolo aveva in Italia la mamma e un fratellino maggiore, poi arrivò anche una sorella. Per i primi 3-4 anni vedemmo raramente qualcuno. La conseguenza fu che, nonostante le nostre spiegazioni, per Khamil noi eravamo i genitori ed i nostri due figli (nel frattempo avevamo avuto un altro bambino) i suoi fratelli. Gli ultimi due anni la madre si fece presente un pochino di più ed iniziò a dirci che sarebbero andati tutti in Canada, dove il marito aveva una casa ed un lavoro. Ci promise che il distacco sarebbe stato molto graduale e che sempre avremmo avuto la possibilità di sentire il nostro Khamil. Così nell’ottobre del 1998 ci chiese di riprendere con sé il bambino, per farlo abituare alla situazione che stava cambiando. Ricordo ancora il giorno in cui lo portai a casa sua come uno dei più terribili della mia vita e mentre lo scrivo sono qui che piango, davanti alla tastiera. Ecco la scena: siamo sulla porta, Khamil mi dice che ha dimenticato una cosa e rientra a casa. Esce dopo due minuti e saliamo in macchina. Guido senza vedere niente, tra le lacrime e i singhiozzi. Lo lascio e torno a casa. Quando rientro trovo attaccati con lo scotch tre disegnini, sopra il letto mio e dei miei figli: è lui dentro un cuore e sotto c’è il suo nome. Ogni venerdì lo prendevamo da casa della mamma, per riportarlo la domenica sera, finché un giorno la madre mi disse di non andare, perché avevano dei parenti ed andavano a fare un giro a Roma. Non li ho sentiti mai più. Sono scappati. Altro che separazione graduale e continuità di rapporto,uno strappo tragico. Avremmo potuto fare molte cose, perché legalmente il bambino era affidato a noi. Ma non abbiamo fatto nulla. Per lui. Perché non volevamo turbarlo. Perché in fondo stava con i suoi genitori ed il suo posto era lì. Ma quanta sofferenza e quante volte ho avuto l’idea di sentire l’Interpol, o l’ambasciata, di chiamare il tribunale dei Minori. Ringraziando Dio, però, ho desistito. Ogni giorno della mia vita, da quel marzo 1999 ad oggi ho pensato ogni giorno al mio Khamil”. Nel frattempo Khamil – il cui vero nome è Abukar – è diventato un uomo. Lo scorso 22 gennaio ha compiuto 24 anni. “Khamil si chiama in realtà Abukar Hassan (nome purtroppo tra i più diffusi al mondo!) ed è nato ad Aprilia, provincia di Latina, il 22 gennaio 1992. Amici che leggete, aiutatemi – dice Simona lanciando un appello su Facebook – Capirete bene che non voglio nulla da lui, solo dirgli che gli abbiamo sempre voluto bene e che per qualsiasi cosa noi ci siamo sempre. Nei confronti della mamma, nessun rancore. Ha sbagliato a fare quello che ha fatto, ma sicuramente avrà agito così perché riteneva un ostacolo insormontabile il legame profondo che noi avevamo col bambino. Oggi io sono mamma di 5 figli. Eppure sento il vuoto lasciato da Khamil. Aiutatemi a colmarlo. Grazie”. Chi avesse informazioni può contattare sul suo profilo Facebook Simona Caffoni.