di Menuccia Nardi
Breve storia: anni ’40, lui è al fronte, a Bengasi, in Libia. Lei, la moglie, è a casa, in Italia, in Puglia per l’esattezza. Non esiste ancora internet, né i social, tantomeno WhatsApp. Si scrive. A mano. Su carta. Una di quelle lettere inviate dalla Libia è però priva di francobollo italiano e rimane in giacenza in un ufficio postale, destinata a non essere mai ricevuta, se non fosse per un collezionista che, acquistato il cimelio sul web, ha cercato l’amatissima a cui era destinata e ha recapitato la lettera alla famiglia a 75 anni di distanza.
È questa una delle notizie che ha fatto il giro dei media nei giorni scorsi e che mi ha molto colpita. In un’epoca che ci sembra tanto lontana, anche se in fondo non lo è neanche tanto (alla fine parliamo solo del secolo scorso), la storia ci ricorda di quanto fosse ancora romantico e pieno d’amore scriversi. Senza emoticon, senza immagini scaricate dal web, solo con carta, penna e inchiostro. Non che scriversi anche oggi non possa essere altrettanto romantico, sia pure per messaggio – basterebbe un po’ d’impegno, non è difficile! – ma ricevere una lettera scritta a mano è un’altra cosa, fosse solo per il gusto di vedere la calligrafia di chi l’ha scritta: la scrittura, intesa proprio come modo di scrivere le lettere dell’alfabeto, è una caratteristica che dice molto di ognuno di noi, e poi è una cosa molto personale, quasi intima direi, ed è una cosa strana anche, perché ti dà l’idea del contatto umano pur senza alcun contatto.
Se ci penso, un po’ mi dispiace. Mi dispiace per mio figlio, che è anche figlio del suo tempo, e difficilmente riceverà o invierà un messaggio o una lettera scritta a mano, meno che mai una cartolina (i saluti dalle vacanze li inviamo con WhatsApp ormai!).
E mi dispiace per me, perché vorrei riceverne ancora di lettere scritte a mano, di messaggi su un biglietto e di cartoline da una stazione prima che qualcuno perda un treno… Va be’, magari tra una trentina d’anni mi vedrò recapitare una cartolina, non dal fronte ovviamente perché per mia fortuna sono nata in tempo di pace, ma magari da una vacanza estiva, da un luogo della mia memoria da adolescente in cui qualcuno mi mandava i saluti sedendosi e scrivendo con l’inchiostro di una penna…