di Eduardo Saturno
Consultando la maggior parte dei dizionari della lingua italiana, la definizione di buca viene definita come una cavità nel terreno, in genere più profonda che ampia, di origine naturale o artificiale. Ad Anzio invece, è caratterizzata come parte integrante dell’arredo urbano, alla pari dei palmizi che costeggiano viale Nerone o viale Severiano ed è equamente dislocata” in tutto il territorio cittadino.
Ma chi è onerato penalmente e civilmente della manutenzione delle strade pubbliche? A chiarimento ci viene in soccorso l’art. 14 comma 1 del Codice della strada il quale prevede che “Gli enti proprietari delle strade, allo scopo di garantire la sicurezza e la fluidità della circolazione, provvedono: a) alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade, delle loro pertinenze e arredo, nonché delle attrezzature, impianti e servizi; b) al controllo tecnico dell’efficienza delle strade e relative pertinenze; c) alla apposizione e manutenzione della segnaletica prescritta”.
La giurisprudenza ha sempre ritenuto che la responsabilità della Pubblica Amministrazione in ordine ad eventi di omessa manutenzione delle strade ricadesse nell’ambito dell’art. 2043 del codice civile, secondo il quale «qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno». La norma, come può comprendersi, esprime un principio generale, comunemente detto neminem laedere («non danneggiare nessuno»). In pratica, sussiste a carico di chiunque (e quindi anche degli enti proprietari delle strade) l’obbligo di non arrecare un danno ingiusto ad altri soggetti.
Nel nostro caso, considerando che il Comune è proprietario delle strade pubbliche, secondo la legge è tenuto alla manutenzione delle medesime, al fine di preservare l’incolumità dei cittadini e garantire la sicurezza di pedoni e automobilisti. Ne discende che se la manutenzione della strada è stata omessa o eseguita male, l’Ente risponderà del danno cagionato all’automobilista, al pedone, al ciclista, al motociclista e così via.
Allo scopo di facilitare il compito di un soggetto danneggiato, la stessa giurisprudenza ha elaborato, nel corso degli anni, il concetto di insidia o trabocchetto. Si parla di insidia quando la strada, seppure in condizioni di apparente normalità, nasconde in realtà delle imperfezioni (come le buche) che non possono essere evitate dai singoli utenti, proprio perché non prevedibili o non visibili.
In tal caso, se l’automobilista o altro soggetto riesce a provare che il danno subito è stato causato da un’insidia non prevedibile con l’ordinaria diligenza (e quindi in alcun modo evitabile), ciò verrà inteso dal giudice come elemento sintomatico della presenza della colpa in capo all’Ente proprietario. In sintesi, ciò si risolve in un importante indizio circa l’effettiva responsabilità dell’Amministrazione: se l’utente prova l’esistenza dell’insidia, sarà sicuramente più facile per lui ottenere il risarcimento del danno.
Recentemente, la suprema Corte ha ricondotto la responsabilità della pubblica amministrazione per omessa o inesatta manutenzione delle strade nell’alveo dell’art. 2051 del codice civile, che descrive la disciplina del «danno cagionato da cose in custodia». Non più il regime generale dell’art. 2043, quindi, ma un sistema particolare, dettato per i casi in cui il danno viene cagionato da cose che sono sotto la custodia di qualcuno (nel nostro caso, gli Enti proprietari vengono quindi considerati «custodi» delle strade e tenuti alla vigilanza delle stesse).
Le conseguenze di questa interpretazione sono assai rilevanti, perché nel caso dell’art. 2051 viene considerata la responsabilità oggettiva del custode. Quest’ultimo è obbligato al risarcimento non a causa di una condotta colpevole, ma in quanto il danno è stato cagionato da cose soggette alla sua vigilanza.
Perché possa operare il regime appena descritto, comunque, l’Ente deve essere effettivamente in grado di poter adempiere agli obblighi sopra descritti. Deve considerarsi, infatti, che per alcuni tipi di strade (come quelle statali) il numero elevatissimo di utenti e l’estensione delle strade stesse rendono di fatto impossibile una costante attività di vigilanza. In questi casi, quindi, la Cassazione afferma che va applicato il regime dell’art. 2043 (col danneggiato che dovrà provare in giudizio la colpa dell’ente proprietario).
Per inverso (come avviene per le strade comunali), le dimensioni più ridotte, il numero minore di utenti della strada, i sistemi tecnologici eventualmente esistenti possono adeguatamente consentire una vigilanza continua e costante da parte dell’Ente proprietario. In tale evenienza, quindi, potrà operare senz’altro il regime dell’art. 2051, più favorevole al danneggiato: sarà la Pubblica Amministrazione, infatti, a dover dimostrare che il danno è stato dovuto a caso fortuito.
Tutto ciò premesso la speranza è che la Giunta comunale appena eletta si adoperi in tempi congrui affinchè vengano rimosse con celerità le fonti di pericolo.