Il decreto sulla presunzione di innocenza Non può essere l’alibi per procura e forze dell’ordine per imporre censura all’informazione
Vietato parlare con i giornalisti. Più che concentrarsi sulla prevenzione e repressione dei reati, a Roma, ormai Procura e Questura sembrano, piuttosto, impegnate a imbavagliare la stampa. La legge sulla presunzione di innocenza, di cui la libera informazione in Italia attende da parte dei Ministeri competenti una corretta lettura attraverso nuove circolari esplicative che non mettano a repentaglio (come sta avvenendo) il diritto di cronaca, appare un pericoloso alibi. Eppure è fondamentale permettere la verifica di fatti e notizie nell’immediatezza, oltretutto, in un momento così delicato per la vita del Paese colpita da una crisi economica gravissima che rischia di generare grandi tensioni sociali. Ma per la paura di assumersi responsabilità o di essere “redarguiti”, tutti i livelli coinvolti in quello che dovrebbe essere un aperto confronto con gli organi di stampa, nel rispetto dei ruoli, si stanno trincerando dietro un “no comment” che spesso è o sfiora la censura. Una condizione inaccettabile: chi opera in difesa dello Stato e dei cittadini deve anche essere in grado di potere interloquire con i professionisti dell’informazione i quali, ricordiamo, hanno dei doveri già sanciti dai codici deontologici. I cronisti romani ritengono sia assurdo che nella capitale del Paese, sede di tutte le istituzioni, a decidere cosa sia di interesse pubblico, se e cosa debba essere detto o non detto ai giornalisti sia esclusivamente una persona, un procuratore. Se non altro per la mole di procedimenti e fatti di cronaca che avvengono a ogni ora del giorno e della notte: sarebbe umanamente impossibile. Da anni ai giornalisti di Roma, poi, è stato sbarrato addirittura l’ingresso nel palazzo di via di San Vitale, sede della Questura. È stata chiusa e mai più riaperta la storica sala stampa. Sembrava di avere toccato il punto più basso nei rapporti, invece, no. Noi giornalisti ci opponiamo con fermezza a chi tenta di relegarci a solo megafono per veline “di regime”, rinunciando al nostro diritto dovere verso la comunità di raccontare i fatti: non è questa la democrazia. Per questo chiediamo il ripristino immediato di un adeguato scambio di informazioni che risponda almeno al buon senso piuttosto che alla declinazione fallata e fuorviante di una norma europea il cui spirito è stato ampiamente travisato nell’adozione legislativa italiana. Chiediamo al nuovo Governo e al Parlamento di rivedere il meccanismo che ha portato a questo deterioramento dei rapporti che rischia di privare tutti i cittadini e gli organi di controllo stesso (non solo a Roma, ma in tutta Italia) della conoscenza effettiva di ciò che succede nelle loro città. Mesi fa il presidente dell’Ordine regionale dei giornalisti aveva chiesto un incontro al procuratore capo di Roma, Francesco Lo Voi, a cui non è seguita risposta. Per l’8 novembre, a un anno dall’introduzione del decreto legislativo 188/2021 sulla “presunzione di innocenza”, chiamiamo le colleghe e i colleghi, anche le pubbliche autorità che non si riconoscono in una norma che sta travalicando il suo obiettivo finendo per ledere un diritto fondamentale, a una mobilitazione generale con la partecipazione della Fnsi, dell’Ordine dei Giornalisti, di tutte le associazioni di stampa regionali e gli istituti di categoria e le organizzazioni che lottano per la difesa della libertà e l’indipendenza dell’informazione. APPUNTAMENTO 8 NOVEMBRE ORE 10.30 PIAZZALE CLODIO (INGRESSO TRIBUNALE) All’appello hanno aderito finora: Fnsi, Ordine dei Giornalisti, Usigrai, Ordine dei Giornalisti del Lazio, ControCorrente Lazio, Articolo 21, Rete NoBavaglio – Liberi di essere informati, Libertà e Giustizia Lazio, Libera Informazione, GayNet, Sindacato Cronisti Romani, Associazione Stampa Romana, The Women Sentinel…. Adesioni in progress… scrivere a: 8novembreinpiazza@libero.it