La motivazione addotta, inoltre, è quella di poter usare i guadagni per la tutela del bene culturale in oggetto. Però, se la Costituzione Italiana non è stata abrogata, e che quindi è ancora vivo e in vigore l’articolo 9 – il quale proclama che la Repubblica tutela il patrimonio storico e artistico della Nazione – spese relative alla tutela di quel patrimonio costituiscono una delle ragioni per le quali esistono le istituzioni della Repubblica, esiste lo Stato, e i cittadini pagano le tasse per consentire che lo Stato adempia ai suoi compiti. La supremazia del mercato sembra essere dominante, anche a costo della mercificazione della cultura e dell’identità stessa nazionale (che a parole sembra essere fondamento per questo governo…).Il Pantheon è il cuore della nostra identità: simboleggia la continuità tra il mondo classico e la cultura moderna, mostra l’eccezionale ruolo che l’arte ha avuto in Italia, racconta la nostra faticosa epopea nazionale e rappresenta l’unità del nostro spazio pubblico, attraverso una comunione formale e sostanziale con la piazza che sarà interrotta dal pedaggi che prenderà un pezzo di città e lo trasformerà in attrazione turistica, disincentivando le persone dall’ingresso, e dunque dalla conoscenza di se stessi. Ed è anche un peccato vero e proprio: di simonia, cioè di vendita di cose sante, visto che il Pantheon è anche una chiesa consacrata, e c’è una direttiva della Cei che vieta di fare pagare per accedere alle chiese
No al Pantheon a pagamento: il filosofo Filippo Cannizzo contro il Ministro Sangiuliano
“Le persone, oggi come ieri, a tutto danno un prezzo ma di nulla conoscono il valore”, diceva Piero Calamandrei. Queste parole di quasi un secolo fa sembrano parlare dell’accordo appena siglato dal Ministro Sangiuliano – come Ministro della Cultura – con il Vicariato di Roma che introduce un biglietto d’ingresso al Pantheon. In un momento in cui l’unica bussola per i Beni culturali sembra l’espansione della valorizzazione, a spese della tutela e dell’educazione, si mette a rischio l’idea stessa di cittadinanza: rendere più difficile l’accesso dei cittadini a un monumento significa in qualche modo metterla in pericolo.
Eppure, in un momento in cui soffia aria di guerra sulla nostra vecchia Europa, se si volesse parlare di pace basterebbe almeno allineare la spesa militare con quella culturale: con meno di un terzo di quanto era destinato al bonus cultura dei neodiciottenni – eliminato dal governo Meloni – si potrebbe rendere l’accesso a tutti (tutti!) i luoghi della cultura completamente gratuito. Senza considerare che, così facendo, si darebbe vero impulso all’economia della bellezza ovvero a quella economia indotta da un aumento del movimento dei cittadini verso il patrimonio storico e artistico, oltre che paesaggistico, che porterebbe indotto molto superiore a quello che garantisce oggi il gettito dei biglietti.
La bellezza è l’antidoto a un mondo dove il denaro è misura di tutto, e che può comprare tutto: ma se avveleniamo l’antidoto, che speranza avremo di restare umani? La bellezza, che è patrimonio collettivo materiale e immateriale (frutto di pensiero e di azione, di tradizione e innovazione, di natura e lavoro umano): la bellezza ha forte valenza simbolica e identitaria, la bellezza è patrimonio di tutti! La cultura non è una fonte di sperperi e di rallentamento economico in Italia, bensì rappresenta una potenziale fonte di crescita e di attività produttive. Il Bel Paese possiede un’inestimabile ricchezza culturale che in una società come la nostra potrebbe diventare la fonte primaria di una crescita sociale ed economica diffusa. La cultura, infatti, è un fattore fondamentale di coesione e di integrazione sociale. Inoltre, le attività culturali stimolano l’economia e le attività produttive: il loro indotto aumenta gli scambi, il reddito, l’occupazione. Un indotto che, per qualità e dimensioni, non è conseguibile con altre attività; pertanto, la cultura potrebbe essere una fonte unica e irripetibile di sviluppo economico.
Allora mi chiedo e vi chiedo perché sia fondamentale per un paese come il nostro l’investimento in cultura. La risposta mi appare evidente. Perché la cultura fa crescere l’intelligenza in generale e la nostra economia ha bisogno di più intelligenza, di più valore aggiunto, di più innovazione. Perché una società povera di cultura è una società regredita, una società segnata da un analfabetismo di ritorno, una società che rischia di non imboccare la via del futuro ma un vicolo cieco, peregrinando verso una regressione tribale (e molti episodi di cronaca degli ultimi tempi, purtroppo, sembrano parlarci proprio di questo).
Nota di Filippo Cannizzo, filosofo e ricercatore universitario, EU Ambassador Beauty and Gentletude