Ilaria racconta Stefano a Nettuno

Gli studenti dell’Istituto Trafelli vivono la vicenda Cucchi

Nell’ambito del progetto “Il Trafelli incontra le istituzioni-Legalità, giustizia, diritti e costituzione” il 5 aprile ha visto la partecipazione della Senatrice, Ilaria Cucchi ad un incontro con gli studenti di Nettuno. L’incontro, organizzato in collaborazione con la Rete #NoBavaglio, fa parte del più ampio progetto “Il carcere entra a scuola…la scuola entra in carcere…” che ha come scopo quello di mostrare agli studenti l’istituzione carceraria nei suoi diversi aspetti e, “La tragica vicenda familiare vissuta di Ilaria Cucchi renderà il progetto più concreto e il dialogo con gli studenti più proficuo” ha aperto l’incontro la Dirigente Scolastica, la dottoressa Sabrina Zottola.

Un’aula magna gremita e attenta al racconto della vita e della morte di Stefano Cucchi attraverso un breve ma intenso filmato che ha percorso con immagini e video momenti di famiglia, di feste, di quotidiana convivialità del focolare, fino agli strazianti segni delle ultime ore di vita. Foto e vicenda che per molti anni è stata al centro delle cronache nazionali e che oggi testimonia l’importanza di tenere accesa l’attenzione al sistema carcerario. L’attenzione su chi non ha voce per rivendicare la dignità all’espiazione di errori di vita.

Ricordiamo che Stefano Cucchi, geometra romano, è morto per le violenze subite mentre era sottoposto a custodia cautelare. Sulla rocambolesca vicenda giudiziaria si sono accesi i riflettori mediatici per molti anni, la condanna per omicidio di due carabinieri ha fatto piena luce sull’assurda morte del giovane.

«Chiamatemi Ilaria, solo Ilaria. La vicenda Cucchi ha segnato la mia famiglia, oggi sono l’unica superstite però non sola a portare la voce degli ultimi – apre la conversazione la senatrice –  Stefano è morto di carcere. Stefano è morto di giustizia.

Stefano è morto di pregiudizio. Stefano è morto di senso di abbandono». Ilaria Cucchi racconta ai ragazzi la sua battaglia per ottenere verità e giustizia per il fratello – dice- «Morto come ultimo tra gli ultimi». Uno studente chiede, “spesso sentiamo parlare di diritti inalienabili dell’uomo. Le istituzioni scolastiche nelle figure dei nostri docenti si impegnano a portarci a conoscenza di documenti come la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo al fine di rendere note, a noi giovani generazioni, le libertà di ogni cittadino. Nel 2017 lei è stata promotrice dell’inserimento del reato di tortura nel Codice Penale italiano. Come questa disposizione legislativa ha comportato un cambiamento nel regolamento carcerario”. «L’introduzione reato di tortura nel nostro ordinamento è stato fondamentale per tutelare i cittadini da abusi, prima l’Italia preferiva prendere le sanzioni dalle Istituzioni europee invece che modificare il sistema carcerario perché in Italia ci sono tante storie come quella di Stefano» e, aggiunge «nei centri di detenzione vengono violati i diritti anche di coloro che ci lavorano». E, aggiunge «Mentre il governo sforna una legge a settimana che individua nuovi reati, oggi quella norma vuole essere abrogata ma dobbiamo assolutamente impedirlo».

Un altro giovane la interroga sul ruolo dei media nel sostenere le sue iniziative e nel sollevare la consapevolezza sui temi dei diritti umani e civili «I giornalisti sono stati al mio fianco e della mia famiglia da subito. Oggi questo incontro è in collaborazione della Rete #No Bavaglio, una rete principalmente di giornalisti ma trasversale che include attivisti, associazioni, società civile, politici che non ha mai fatto mancare l’attenzione di questa vicenda. La stampa ha un ruolo fondamentale nella democrazia del paese e, quando eravamo una famiglia unita, semplice che viveva con le sue problematiche lontano dai rotocalchi hanno acceso la luce, i riflettori, l’attenzione dell’opinione pubblica ciò che era accaduto non solo a Stefano ma alla nostra famiglia comune». Un altro ragazzo la interroga su quale è stato il momento più difficile o toccante che ha vissuto nel corso della battaglia per la giustizia per suo fratello e per altre vittime di violenza o ingiustizia «In Italia lo Stato c’è, anche se spesso è stato ostile ai cittadini diventando addirittura il suo peggior nemico e lo abbiamo visto noi, sulla nostra pelle nei primi sette interminabili anni di processi sbagliati. Oggi sappiamo il perché, sappiamo che quel processo era stato scritto a tavolino subito dopo la morte di Stefano, poi con il tempo la situazione è cambiata, la giustizia è fatta dagli uomini ed oggi ci sta dimostrando che può essere davvero uguale per tutti». In che modo il caso di Stefano ha cambiato la sua percezione del sistema giudiziario e penitenziario, chiede una studentessa: «Non avevo idea di come funzionasse il sistema carcerario, non ne avevo motivo, era ciò che avevo visto attraverso pellicole cinematografiche. Nei libri, nulla di più. L’uccisione di Stefano ha cambiato tutto e, non ho potuto esimermi a richiedere con forza la verità. Oggi sono l’unica superstite -anche i miei genitori non ci sono più- questo mi sprona a rappresentare le vertenze e le difficoltà che dobbiamo superare in questo Paese sul sistema di recupero delle persone in carcere. La mancanza di tutela ad esempio dei malati psichiatrici, dei tossicodipenti che sono senza aiuti senza aiuti sanitari, ad esempio. Persone che hanno disturbi alimentari che non hanno adeguate diete. Il sovraffollamento, accennavo prima che si promulgano ogni giorno nuovi reati, reati minori per i quali si attende il giudizio in cella insomma credo che il rischio di finire in galera sia altissimo per chiunque e, questa non è una prospettiva auspicabile in un paese democratico». Ha avuto momenti di dubbio o di scoraggiamento durante il suo impegno per la causa dei diritti umani. Come è riuscita a superarli le rivolge un altro studente «La mia seconda vita è cominciata con la morte di mio fratello e in tanti momenti mi sono sentita scoraggiata. Le prime ore sono state terribili, porto vivo il suono della voce di mia madre, il modo in cui siamo venuti a sapere che Stefano era morto “dalla richiesta di autopsia e all’invito di incaricare un perito di parte” tutte cose di cui noi non avevamo alcuna idea -racconta Ilaria Cucchi- mentre mio padre lo sapeva in custodia cautelare, la corsa all’ospedale senza dirgli che stavamo andando dove Stefano non era più con noi. Non sono entrata con i miei genitori a fare il riconoscimento, io, Stefano lo volevo ricordare vivo. Ma alle urla, non potevo, non dovevo evitare. In quel momento credo di essere diventata un po’ genitore dei miei genitori -confida Ilaria Cucchi- un concetto che è, per fortuna, lontano per voi e vi auguro di vivere appieno il ruolo di figli e basta per molto tempo. La telefonata a Fabio Anselmo, il nostro avvocato -negli anni è diventato molto di più- che per prima cosa mi dice di fotografare Stefano, ho capito fino in fondo quella richiesta solo quando quelle immagini sono divenute iconografiche hanno aiutato a testimoniare e confermare la brutale modalità con cui mio fratello ha lasciato questo mondo.

Il tg3 è stato tra i primi a trasmettere le immagini di me con quelle gigantografie davanti al tribunale per rivendicare la verità. Stefano era visto come un drogato, ne ho sentite e lette tante -ricorda-. Uno che se l’era cercata. No, Stefano era un ragazzo che aveva dei problemi ma con una famiglia per bene, con una sorella che sapeva mettere insieme due parole, dei genitori che potevano anche ipotecare una casa per pagare le spese legali. Come dicevo, scoraggiata molte volte ma mai sola. Molto è grazie ai giornalisti che hanno seguito ogni istante, alla fiducia nella giustizia e nelle Istituzioni. A tutte le persone che incontravo in strada e riconoscendomi mi dicevano “daje Ilà” -sorride-. Oggi pur avendo vinto tutti i processi ne usciamo sconfitti, ma sicuramente con un bagaglio enorme».
E, su quali sono le prospettive future e gli obiettivi che desidera perseguire nel campo dell’attivismo umanitario e della difesa dei diritti risponde «In questi anni ho sfidato le istituzioni e la giustizia che ho richiamato al loro dovere ma non sono del partito contro le Forze dell’Ordine, perché rispetto chi porta una divisa. Mio fratello aveva commesso un errore ma non va bene -ribadisce- il modo in cui poi è stato punito. La droga massacra le vite di tutti. La droga è maledetta, rovina le famiglie: mio fratello non era un eroe, non era un modello ma questo non significa che non doveva essere difeso. Che doveva essere ucciso per questo come non lo è nessuno. Raccontare -sottolinea- mi ha impedito di elaborare e vivere il lutto, quello che sto facendo ora. Continuo a venire nelle scuole, per esortarvi a non voltarsi mai dall’altra parte anche se non ci riguarda direttamente, in modo da fare una società migliore dove non ci sono più punti di riferimento».

Sull’operato delle Forze dell’Ordine torna a parlarne Claudio Pelagallo della “Rete NoBavaglio” ricordando che Nettuno è uno dei comuni del litorale commissariato per infiltrazione mafiosa e grazie al lavoro di carabinieri, DDA e magistratura, che sono venuti alla luce i traffici di droga delle cosche, ribadisce agli studenti l’importanza del lavoro della pubblica sicurezza. Certamente sono da denunciare gli abusi e chi disonora la divisa che porta, ma non si può denigrare il lavoro di garanzia che svolgono ogni giorno come non si deve impedire ai giornalisti di informare la cittadinanza. Pelagallo, aggiunge, poi la preoccupazione sulle molte difficoltà che oggi rischiano di avere i giornalisti a causa dei decreti bavaglio. Una preoccupazione che dovrebbe allarmare la società civile in quanto viene a mancare l’essenza dell’articolo 21 della nostra Costituzione che garantisce il diritto di informare ma soprattutto quello di essere informati.

Un altro studente torna a intervistare su cosa l’abbia spinta a trasformare il dolore in azione e a diventare un’attivista così determinata nel perseguire la giustizia e i diritti umani «Mi piace pensare che Stefano è la voce degli ultimi, mi piace pensare che nelle nostre carcere si guardi un po’ di più ai diritti dei carcerati e di chi ci lavora. Credo fortemente nell’importanza di questa iniziativa, perché è importante conoscere la realtà carceraria anche da giovanissimi.

Nei giorni in cui Stefano fu ucciso erano i giorni dello scandalo che travolse l’allora presidente della Regione Lazio, Marrazzo e, non si potevano avere due scandali nello stesso momento almeno sulle pagine dei giornali e nei telegiornali invece non è mancata mai l’attenzione nei nostri confronti. Così come oggi, per me, è ancora più un dovere dare voce a chi non ne ha per moltissime ragioni. Abbiamo, ho ricevuto, minacce. E, menomale che non mi sono mai piegata alle minacce. Sono stati anni faticosi, devastanti per i miei figli, per la nostra famiglia ma è un sacrificio non vano.

Non mollare è un atto dovuto non solo Stefano ma a tutti gli Stefano che non hanno voce. Gli ultimi non hanno voce e l’augurio è proprio che il sacrificio mio, dei miei figli sia la voce degli ultimi».

Alla domanda su cosa desidera che si ricordi di Stefano e delle altre vittime che ha difeso attraverso il suo attivismo, Ilaria Cucchi non ha dubbi «Quello che desidero di più è che si ricordi di Stefano da vivo, il ragazzo che appare anche nel video, nelle foto di famiglia che avete trasmesso all’inizio del nostro incontro».

Nell’ambito del progetto “Il Trafelli incontra le istituzioni-Legalità, giustizia, diritti e costituzione” la professoressa Alessandra Valenza, che accompagna gli studenti in questo percorso, racconta, che la storia di Stefano ha colpito gli studenti e dopo la proiezione del film “Sulla mia pelle” questo incontro è stato fortemente voluto proprio per condividere e dimostrare la vicinanza alla famiglia di Stefano. E, alla fine della pellicola oltre alle lacrime e al profondo sdegno una delle domande più ricorrenti era quella di come avesse vissuto Ilaria la trasposizione cinematografia della sua storia. «”Sulla mia pelle” ricorda Stefano nella dimensione umana, la pellicola restituisce proprio l’umanità di Stefano perché ad un certo punto era diventato solo Cucchi, il caso Cucchi per cui mi ha emozionata, commossa e confermato il forte senso di bene comune che ci appartiene».

Gli studenti il 23 aprile saranno ospitati dal carcere circondariale di Velletri nell’ambito dell’iniziativa promossa dall’Istituto e secondo Ilaria Cucchi «è un’iniziativa importante per comprendere appieno quello che si “vive” nei corridoi delle carceri e di quanto è importante la nostra attenzione».

Sono molti, purtroppo, a non avere voce nelle difficoltà ma sicuramente hanno al fianco chi non si volta dall’altra parte. Ci sono i giornalisti che sono al fianco della società civile.

Un incontro e, un percorso didattico importante affinché il presente formi e informi i giovani che sono l’essenza della società civile. Un’iniziativa, quella dell’Istituto Trafelli, necessaria.