Oltre ai dazi L’Ue si impegna ad acquistare 750 miliardi di dollari in prodotti energetici americani per i prossimi tre anni e a investire 600 miliardi di dollari negli Stati Uniti
“Una resa incondizionata- secondo l’economista Stefano Fassina-. Tra l’Amministrazione Trump e i governi europei (sono loro i responsabili non la sempre più improbabile von der Leyen e i suoi commissari), è finita come doveva finire. È stata una resa incondizionata, non è un accordo: dazi generali al 15% ai quali si aggiunge una svalutazione del Dollaro di altrettanto con effetto complessivo del 30%. Su acciaio e alluminio la somma arriva a 65%. Spesa aggiuntiva di 750 miliardi per l’acquisto di gas liquido a prezzi multipli rispetto al gas di Gazprom (con contraccolpi pesanti sui tuoi costi di produzione). Investimenti europei negli USA per ulteriori 600 miliardi. Si addizionano all’ulteriore spesa di circa 300 miliardi all’anno per comprare armi da Washington, come deciso all’ultimo vertice Nato. Disapplicazione di fatto del Digital Market Act e del Digital Service Act, oltre alla rinuncia alla digital service tax (a beneficio del potere politico e dei profitti delle Big Tech).
Non c’è mai stato un negoziato. – continua Fassina- È stata, sin dall’inizio, una richiesta di misericordia al sovrano dell’impero in decadenza del quale, dalla fine della Seconda Guerra mondiale, siamo parte. Non poteva che andare così. Non per errori di tattica negoziale, pur evidenti. Ma per ragioni di fondo dovute, innanzitutto, alla lettura del cambiamento d’epoca in corso (copyright Papa Francesco). In primo luogo, in merito ai piani del Cremlino e del suo alleato cinese. Se interpreti la Russia come “minaccia esistenziale” e intendi sostenere l’Ucraina “fino alla vittoria”, sancisci la tua totale dipendenza militare ed energetica dagli Stati Uniti, finanche per la tua esistenza come entità geopolitica. Da qui discende, inevitabilmente, che non hai potere negoziale verso colui dal quale dipende la tua sopravvivenza economica e politica. Non puoi che piegarti alle sue richieste, sempre più pesanti. Insomma, ti rassegni alla condizione di vassallo.
Nella resa incondizionata firmata con la Casa Bianca, i principali governi europei e i gruppi politici della larga “maggioranza Ursula” al Parlamento di Strasburgo hanno archiviato qualsivoglia anelito di autonomia politica e culturale. Chi paga il conto? Difficile prevedere in che misura, dipenderà dal livello di concorrenza in ogni specifico settore e attività ma, dati i rapporti di forza nelle società occidentali, si scaricherà sui lavoratori e sulla filiera delle micro e piccole imprese.
L’umiliante genuflessione delle leadership europee, nazionali in primis, non era l’unica risposta possibile o la risposta meno costosa nella situazione data. L’alternativa non era minacciare o attuare ritorsioni sui servizi importati dagli USA, prospettiva invocata nei talk show ma impraticabile per la ragione di cui sopra. L’alternativa era riconoscere l’esaurimento della fase liberista-mercantilista del capitalismo post-‘89, lasciare Trump ai suoi atti comunque unilaterali e dedicarsi al potenziamento della domanda interna nelle grandi e ancora relativamente ricche economie continentali. Quindi, l’alternativa era compensare le imprese colpite dalla riduzione dell’export oltre Atlantico (sarebbe sufficiente una frazione della maggiore spesa in armamenti) e impostare una strategia di politica industriale e di rivalutazione del lavoro da finanziare con il risparmio finora prestato ai consumatori USA per acquistare, a debito, il nostro export.
Per invertire rotta, lo scoglio è di ordine culturale, prima che di interessi economici da tenere a bada. Le classi dirigenti Ue, in particolare larga parte delle leadership politiche progressiste, sono convinte che la regolazione delle economie vigente negli ultimi 40 anni sia l’ordine naturale delle cose. Ossia che, per l’Ue, avere un avanzo commerciale di 3 punti di Pil sia una condizione a-storica, un diritto inalienabile e, conseguentemente, un dovere di Washington contribuire a garantirlo. Evitano di prendere atto che chi non è più la più grande economia del pianeta, né è più il campione assoluto della ricerca e dell’innovazione e continua ad accumulare debito estero (arrivato al 100% del Pil) non può più svolgere la funzione di consumatore globale, nonostante batta ancora la moneta di riserva del pianeta. Evitano di riconoscere che il così difeso assetto libero-scambista, attuato con ferocia attraverso il mercato unico europeo, ha svalutato il lavoro e mutilato le condizioni della classe media da entrambe le parti dell’Atlantico.
Per invertire rotta e promuovere un minimo di autonomia politica, va posta su basi di realtà la questione Russia e avviata un’interlocuzione con Mosca per aiutare l’Ucraina a raggiungere una pace sostenibile; quindi attenuata la dipendenza dalla copertura militare statunitense; coordinate le difese nazionali in ambito Ue senza significativi aggravi di spesa pubblica; riavviate le relazioni commerciali e energetiche con Mosca; promossa, insieme ai Brics, un’architettura per la sicurezza comune intesa in senso lato, modello Helsinki 1975, ma inclusiva della prevenzione della catastrofe climatica e della cooperazione per lo sviluppo sostenibile, condizione per la promozione del diritto a non emigrare. -conclude l’economista Fassina-Per invertire rotta, servirebbe una classe dirigente altra. Mala tempora currunt”.