La piccola Rahaf Abu Jazar è morta di freddo a Khan Younis, nel Sud della Striscia di Gaza / REUTERS/Ramadan Abed
Tutto l’inferno di un popolo è nel corpo gelido di Rahaf Abu Jazar, 8 mesi, morta ieri per assideramento fra le braccia impotenti della madre, mentre l’inverno si rovesciava in forma di tempesta sul deserto di macerie di Gaza. «Pioveva, faceva molto freddo e avevo ben poco per tenerla al caldo. L’ho nutrita e messa a dormire. L’ho avvolta meglio che potevo, ma non è bastato. Sono stata presa dal panico tutta la notte. Poi all’improvviso, ho trovato la mia bambina immobile, morta», ha raccontato la madre, una fra le migliaia di profughi costretti a vivere nelle tendopoli di Khan Yunis, nel sud della Striscia. La Protezione civile ha riferito di aver ricevuto in poche ore più di 2.500 richieste di aiuto. Sulle pagine social con cui i gazawi cercano di sopravvivere al precoce oblio del mondo sfilano i video della battaglia con la pioggia, il vento, la marea inarrestabile del fango. Gli uomini armati di pale e zappe raspano il fondo di quella che ormai è una palude limacciosa su cui poggiano come palafitte le tende trapassate dal diluvio, lavoro utile solo a scacciare per un poco impotenza e disperazione, a scaldare le ossa sotto gli indumenti inzuppati dal turbinio universale. «Non c’è una tenda che sia scampata all’alluvione. Le condizioni sono terribili. Nel campo ci sono persone anziane, malati», racconta Ahmad Abu Taha, un altro profugo di Khan Yunis. Secondo l’Onu sono almeno 850mila i gazawi costretti a vivere nelle tende di 761 campi profughi.
Fonte: quotidiano Avvenire





