Polvere pirica e gelatina da cava: così sarebbe stato composto l’ordigno esploso davanti casa del conduttore di Report Sigfrido Ranucci lo scorso 16 ottobre a Campo Ascolano, a Pomezia.
Il dato emerge dai risultati delle analisi effettuate sui resti dell’ordigno che era stato posizionato in un vaso esterno all’abitazione: si tratta di una bomba di circa un chilo azionata con una miccia posta, con tutta probabilità, sull’estremità superiore.
Nell’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Roma, con le indagini delegate ai carabinieri dei nuclei investigativi di Roma e Frascati, si procede per i reati di danneggiamento e violazione della legge sulle armi, entrambi aggravati dal metodo mafioso. Fra le ipotesi al vaglio degli inquirenti c’è anche la pista della criminalità organizzata.
Un attentato che “avrebbe potuto uccidere” e che ha suscitato anche una serie di reazioni, politiche e non. Poco prima della deflagrazione, inoltre, la figlia del conduttore di Rai 3 era passata nei paraggi: “L’esplosione avrebbe potuto ucciderla” aveva raccontato Ranucci.





