di Antonio Perci
Esistevano davanti all’abitato di Nettuno a poca distanza dalla riva, i resti di tre peschiere del periodo romano, databili tra l’epoca repubblicana e il primo impero. Si ritiene comunemente che facessero parte di tre ville marittime situate sul pianoro corrispondente al forte Sangallo e al borgo medioevale. Le peschiere, molto diffuse in epoca romana tra il I secolo a. C. e il I secolo d.C. erano sistemi per la cattura e l’allevamento dei pesci, costruiti direttamente in mare a breve distanza dalla costa, spesso in corrispondenza di imponenti ville marittime appartenenti a nobili e ricchi romani. A volte erano costruzioni molto complesse, come quella di Astura, sporgenti di poco dal livello del mare e con esso collegate attraverso piccole aperture che potevano essere chiuse da grate che scorrevano entro guide nella muratura, come si può ancora vedere ad Astura. Le peschiere situate davanti a Nettuno, erano ancora visibili fino agli anni 60′. La costruzione delle dighe costiere davanti al Forte Sangallo, causò l’insabbiamento totale della peschiera situata davanti al forte e la copertura parziale di quella davanti al villino Nesi, nei pressi del Belvedere, che, perfettamente conservata, rimane visibile parzialmente a pelo d’acqua, nella parte scoperta dalla sabbia. I resti davanti alla marciaronda, visibili fino agli anni 80 e molto avanti nel mare, furono distrutti dalla costruzione del porto turistico. Di questa peschiera, la parte più evidente era il molo foraneo, costruito in calcestruzzo, che la proteggeva dalle mareggiate, e il cui resto più consistente era denominato “Scoglio Orlando” immortalato in innumerevoli fotografie d’epoca e rimasto solo nella memoria di qualche anziano nettunese e nel nome di un vino prodotto in una cantina del posto. La peschiera più occidentale, quella davanti al villino Nesi, unica delle tre conservata in perfetto stato fino al 1963, come mostrano le foto presenti in diversi libri di storia locale, fu coperta dalla sabbia per buona parte dopo la costruzione delle dighe, che però non la interessarono, essendo state costruite più avanti nel mare, quasi a non volerla intaccare. Consiste in una vasca quadrangolare di 22 metri di lato, suddivisa in quattro vasche più piccole di 8 metri di lato, al centro di ognuna delle quali è presente un piccolo pilastro che forse sosteneva una struttura in legno, per consentire di passare attraverso il centro delle vasche, o per fornire ombra ai pesci. Una vasca triangolare era attaccata al lato verso il mare aperto e sulla punta di questa, un’altra vasca rotonda di 13 metri di diametro e sulla destra i resti di un piccolo molo che forse serviva all’attracco di piccole imbarcazioni. L’impianto terminava con un’altra vasca circolare simile alla precedente e già semidistrutta all’epoca dei rilievi eseguiti nel secolo scorso. Tra l’altro, tutta la costa tra Anzio e Astura era nota per la produzione del liquamen antiatinum, che come il garum era una salsa preparata con interiora di pesce usata come condimento dei cibi e citata da autori antichi come Apicio e con usi secondari in medicina e veterinaria, e frequente quindi era la presenza delle peschiere che, non sempre collegate ad una villa marittima, rifornivano questa importante industria alimentare locale. La costruzione, data nei testi per scomparsa insieme alle altre due, nei tempi recenti rimaneva a volte coperta
dalla sabbia per intero, a volte veniva scoperta dalle mareggiate o dal gioco delle correnti durante l’estate, facendo apparire la sua struttura, così come riportata nelle foto e nei rilievi topografici d’epoca.
Tutto questo fino all’epoca attuale.
Non sono state le mareggiate, le vicende belliche o la costruzione delle dighe, a far scomparire l’unico resto ancora visibile delle peschiere di Nettuno, ma l’ignoranza e la mancanza di legalità alla quale siamo abituati attualmente. Qualcuno, pensò bene di fare una diga, anzi due. E perché non approfittare di quei muretti che stanno già lì. Mettiamoci un po’ di massi sopra, anzi, rompiamone qualche pezzo e ammucchiamolo insieme ai massi, forse così si fermerà un po’ di sabbia e potremo mettere qualche ombrellone in più. Ma è possibile non riconoscere quei resti affioranti dalla sabbia e distruggerli per fare una diga? E per fare questo non sarebbero necessarie delle autorizzazioni, essendo la spiaggia un bene demaniale? E se esistono tali autorizzazioni, chi le ha rilasciate, ha anche autorizzato la distruzione di un resto archeologico? Anche se non è un resto rilevante, mi domando come è stato possibile che la stupidità umana, accompagnata dalla quiescenza delle autorità, abbiano danneggiato irrimediabilmente uno dei pochi resti di epoca romana ancora visibili nel centro di Nettuno. Voglio ricordare che la tutela dei beni archeologici parte dalla nostra Costituzione repubblicana: l’articolo 9 recita: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica, tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.
L’obbligo di tutela dei beni culturali trova pertanto nel nostro ordinamento un riconoscimento costituzionale, al quale fa seguito una miriade di leggi di tutela del patrimonio culturale e ambientale italiano che, a iniziare dalla Commissione d’indagine per la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico, artistico, archeologico e del paesaggio” meglio nota come “Commissione Franceschini che nel 1967, al termine dei lavori, nel documento conclusivo, propose per la prima volta la definizione di “patrimonio culturale” e quindi in definitiva di bene culturale: “Appartengono al patrimonio culturale della Nazione tutti i beni aventi come riferimento alla storia della civiltà. Sono assoggettati alla legge i Beni di interesse archeologico, storico, artistico, ambientale e paesistico, archivistico e librario ed ogni altro bene che costituisca testimonianza materiale avente valore di civiltà”. Insomma, nonostante le buone intenzioni dichiarate dalle varie amministrazioni che si sono succedute, la valorizzazione del patrimonio artistico e culturale di Nettuno è rimasta sulla carta.
Antonio Perci
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