di Menuccia Nardi
Come avrete capito leggendomi in questi mesi io non sono una grande sportiva (amo camminare, questo sì, ma non vado oltre, anche perché ormai ho superato l’età temo): forse da bambina non ho mostrato particolare inclinazione per nessuno sport – pur avendo seguito qualche corso, ma senza troppa convinzione – o forse non sono stata indirizzata allo sport adatto, chissà. I miei tra l’altro non mi hanno mai spronata più di tanto all’attività fisica, credo indotti in buona fede dal vedermi spesso isolata a leggere un libro, convincendosi così che fosse un’altra la mia strada e che comunque le attività con alto tasso di sudorazione non fossero alla mia portata. Forse è realmente così, semplicemente non sono portata, eppure dallo sport sono profondamente affascinata, pur non essendo in realtà appassionata né tifosa di una disciplina sportiva in particolare, ma rimango sempre colpita e rapita dagli atleti che dello sport fanno una ragione di vita, che quando li vedi gareggiare capisci e percepisci il sacrificio, la dedizione e l’entusiasmo che mettono in ciò che fanno.
E ultimamente c’è un’atleta che mi fa questo effetto, che mi appassiona, e da cui sono rapita e affascinata: una ragazza giovanissima, 20 anni appena, un’italiana (e lo dico orgogliosa), veneta per l’esattezza, classe 1997, nome Beatrice Vio, detta “Bebe”, Bebe Vio.
Di Bebe conosciamo tutti la storia: si avvicina alla scherma fin da bambina, a soli 5 anni, poi nel 2008, 11 anni appena, la malattia, una meningite fulminante che costringe i medici ad amputarle tutti e 4 gli arti e che le lascia segni anche sul viso. Credo sia umano chiedersi cosa spinge a questo punto un essere umano a reagire a una cosa così, in quale cassetto della nostra testa o del nostro cuore sta la forza di volontà per andare oltre… Io non so dove sia con esattezza, ma credo che lei lo sappia, perché l’ha trovata quella forza ed è andata oltre e lo ha fatto in maniera eccezionale. Vengono progettate per lei delle speciali protesi per continuare a praticare la scherma, il fioretto per l’esattezza e lei non si limita a praticarlo, no, Bebe diventa campionessa paralimpica, Bebe trasforma tutto in oro, in medaglie d’oro per essere esatti, e vince, vince tutto: campionessa italiana assoluta nel 2012 e nel 2013, oro ai campionati europei paralimpici nel 2014, oro ai mondiali del 2015, oro a Rio 2016, ed è ancora oro ai recentissimi campionati mondiali di scherma paralimpici disputati nei giorni scorsi a Fiumicino. E tra una vittoria e l’altra quel sorriso, spontaneo, coinvolgente, che infiamma il cuore di chi la segue e che mi fa pensare tutte le volte all’Inno alla gioia di Beethoven, forse perché nella mia testa anche il suo sorriso è un inno, un inno alla vita…