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Piano “ReArm Europe”: miliardi per le armi si trovano subito, ma non per sanità, povertà crescente e transizione ecologica

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Il piano “ReArm Europe” di Ursula von der Leyen, approvato dai governi europei, compreso quello di Giorgia Meloni, in sostanza dice che nessuna delle urgenze sociali ha un valore paragonabile a quello dell’industria bellica, tanto da consentire ai singoli Stati dell’Ue di tenere fuori dal Patto di stabilità le spese militari. Il Piano indica una disponibilità – teorica -fino a ottocento miliardi, di cui 150 prestiti per acquisti in comune, e 650 nell’ipotesi di un aumento degli investimenti dell’1,5% dei Pil nazionali in quattro anni,

Quindi non è possibile derogare alle ferree regole europee per la sanità disastrata, per la spesa sociale, che dovrebbe sostenere il crescente impoverimento di lavoratori , famiglie e pensionati, per l’istruzione pubblica, per la transizione ecologica, per la tutela del territorio, ma per le armi sì. Per le armi i soldi si trovano.

Ci dicono: dobbiamo spendere di più per la Difesa, dopo il crollo dell’Urss ci siamo rilassati troppo e abbiamo tagliato questo genere di investimenti perché ci sentivamo sicuri all’ombra della Nato, ora no, dopo l’invasione dell’Ucraina la Russia è di nuovo un pericolo. Davvero? L’Osservatorio CPI diretto da Carlo Cottarelli ci ha appena spiegato a suon di cifre che nel 2024 la spesa militare europea ha superato quella russa del 58% (719 miliardi di dollari internazionali contro i 462 della Russia). Il bilancio Usa della Difesa per l’anno fiscale 2025 sfiora i 900 miliardi di dollari, più del doppio della Russia, tre volte quello della Cina.

Tutti si preparano alla guerra, gli organismi internazionali sono ridotti al silenzio, il consiglio di Sicurezza è bloccato da veti e interessi delle superpotenze. Si moltiplicano nel mondo i teatri di guerra, i colossi degli armamenti aumentano i profitti. Negli ultimi due anni le 15 maggiori aziende mondiali per la difesa hanno visto schizzare il proprio portafoglio ordini a quota 777 miliardi di dollari, oltre 76 in più rispetto a due anni prima.

In questo scenario, chi ha il coraggio di chiedere o proporre al mondo finanziario di rifiutare i profitti dell’industria bellica? Chi ha il coraggio di pronunciare, oltre a papa Francesco e ai pochi pacifisti rimasti, la parola pace? La pace è una scelta di vita. Incompatibile con il business delle armi e della politica predatoria e coloniale degli stati.

 

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Claudio Pelagallo
Claudio Pelagallohttp://www.inliberauscita.it
Giornalista pubblicista, iscritto all'albo Nazionale dal 1991. Ordine Regionale del Lazio. Ha collaborato come corrispondente con diverse testate: Il Messaggero, Il Tempo, Il Corriere dello Sport, La Gazzetta di Parma. Direttore responsabile Inliberauscita

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