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#NoBavaglio, oltre 200 reporter uccisi a Gaza: “Basta sangue, noi non abbandoniamo i giornalisti palestinesi”

Basta sangue sui nostri giubbotti!

Noi giornalisti e mediattivisti della Rete #NoBavaglio condanniamo, come già fatto in passato insieme alla Fnsi e all’Odg e alle altre organizzazioni della stampa internazionali, le uccisioni e i continui attacchi ai giornalisti a Gaza. Chiediamo indagini indipendenti e immediate sulla loro morte, ferimento, detenzione o sparizione.
Dal 7 ottobre hanno perso la vita oltre 200 tra giornalisti e operatori dei media https://www.ifj.org/war-in-gaza  e molti altri sono feriti, arrestati o dispersi. Il bilancio delle vittime è senza precedenti.
La Rete #NoBavaglio, si unisce alla denuncia dei giornalisti francesi su “Le Monde” che richiama ancora una volta al giornalisticidio in atto sulla Striscia di Gaza dove i bombardamenti israeliani hanno ucciso oltre 200 giornalisti.
Come giornalisti, profondamente impegnati nella libertà di informazione, è nostro dovere denunciare questa politica, mostrare la nostra solidarietà ai colleghi palestinesi e rivendicare, ancora una volta, il diritto di entrare a Gaza.
Non lo chiediamo perché crediamo che la copertura mediatica di Gaza sia incompleta senza giornalisti occidentali. Si tratta di trasmettere e proteggere, attraverso la nostra presenza, i nostri colleghi palestinesi che stanno dimostrando un coraggio incredibile, inviandoci immagini e testimonianze dell’incommensurabile tragedia in corso a Gaza.

Il massacro dei giornalisti è solo un aspetto della catastrofe umanitaria in corso in Palestina che colpisce soprattutto i civili, donne, bambini, anziani e le persone più deboli e fragili lasciate senza cibo e cure sanitarie. Davanti a quello che la Corte Internazionale di Giustizia ha definito un genocidio non si può restate indifferenti.

Rinnoviamo la richiesta che venga  simbolicamente spenta la luce del Colosseo in segno di lutto per le decine di migliaia di civili inermi, donne, uomini, operatori sanitari e umanitati, giornalisti, anziani e soprattutto bambine e bambini uccisi nei raid israeliani in Palestina.

E, soprattutto chiediamo con fermezza il cessate il fuoco immediato, l’accesso degli aiuti umanitari e garanzie sulla sicurezza degli operatori dei media.

Ricordiamo che l’ultima vittima è la reporter Fatima Hassouneh, 24 anni. La donna è morta insieme a dieci membri della sua famiglia, tra cui donne e bambini, in un attacco aereo che ha colpito la casa dove viveva nel quartiere Al-Tuffah, est di Gaza City. Le Israeli defence forces (Idf) non hanno fornito spiegazioni sul motivo di questo raid che fa salire il bilancio delle vittime della guerra a 51 mila, compresi i 217 operatori dell’informazione, secondo il conteggio del Centro per la protezione dei giornalisti palestinesi.
Sono più di 550 giorni che i giornalisti palestinesi stanno scrivendo, dichiarando, filmando, registrando il proprio testamento.

Il reporter palestinese da Gaza, Al-Hassan Selmi, in un audio nei giorni scorsi ha lanciato un “appello ai giornalisti internazionali: non smettete di parlare di Gaza”. A pochi giorni da un raid che ha colpito una tenda dei media a Gaza, uccidendo due cronisti, Selmi dichiara: “L’esercito israeliano uccide e brucia vivi i giornalisti palestinesi e questo è un messaggio che vuole lanciare ai cronisti di tutto il mondo: se non smettete di raccontare quello che succede, sarete i prossimi bersagli”. Ma, secondo il cronista, “se ci lasciate soli, ci uccideranno tutti”.

Hossam Shabat, 23 anni, corrispondente nella Striscia di Gaza del canale qatariota Al-Jazeera Moubasher ha scritto il suo testamento. Il giovane reporter, consapevole che i bombardamenti israeliani sul territorio palestinese hanno ridotto drasticamente l’aspettativa di vita dei suoi professionisti, ha scritto un breve testo, da pubblicare se gli dovesse succedere qualcosa. Queste parole sono state finalmente pubblicate sui social media lunedì 24 marzo. “Se stai leggendo questo, significa che sono stato ucciso”: così inizia il messaggio, in cui il giornalista ricorda le sue notti trascorse dormendo sul marciapiede, la fame che non smetteva mai di tormentarlo e la sua lotta per “documentare gli orrori minuto per minuto”. “Finalmente potrò riposarmi, cosa che non sono riuscito a fare negli ultimi diciotto mesi”, conclude il reporter palestinese, ucciso da un attacco di un drone israeliano contro l’auto su cui viaggiava, a Beit Lahia, nel nord di Gaza. Un veicolo con il logo della TV e il logo di Al-Jazeera.

Ai nostri colleghi a Gaza che stanno informando sotto i bombardamenti delle loro case o delle tende dove si erano rifugiati con le loro famiglie, come decine di migliaia di altri palestinesi diciamo che non sono soli, insieme continueremo ad informare e denunciare.

La Corte Internazionale di Giustizia (CIG) ha ordinato a Israele di “prendere tutte le misure in suo potere per smettere di uccidere i palestinesi, in violazione della Convenzione sul genocidio”.

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