Processo Alba Pontina. Anche un imprenditore di Nettuno vittima di estorsione

Lunghissima deposizione in aula di Agostino Riccardo, collaboratore di giustizia e uno dei testimoni dell’accusa nel processo Alba Pontina contro il clan Di Silvio. Davanti ai giudici del Collegio Penale,presieduto da Gian Luca Soana, il collaboratore di giustizia ha ripercorso le modalità con cui è nata la sua appartenenza al clan riconducibile ad Armando Di Silvio. Una storia anche di estorsioni ad imprenditori e liberi professionisti, quello del Clan di Latina.
Ascoltato ieri in aula un imprenditore di Nettuno che ha spiegato che voleva capire chi si era trovato di fronte con una serie di minacce. Non capiva e voleva sapere di più su chi si era affiancato mentre era in auto e gli aveva detto. «Scendi, dobbiamo parlare». Voleva capire chi fossero. «Ho fatto delle ricerche in rete dopo che erano venuti diverse volte e ad un certo punto ho avuto molta paura. Non ho denunciato perché pensavo che questa cosa si risolvesse e poi non ho avuto il coraggio». E’ questo uno dei passaggi più significativi della deposizione del commerciante di Nettuno, vittima di una estorsione che è andata avanti per diversi mesi e che si è consumata nella primavera del 2016.  La ricostruzione del testimone è molto lucida anche se poi l’uomo ha spiegato che per dei problemi di salute molto gravi in famiglia, alcune cose è come se le avesse dimenticate e infatti ha detto di essere stato in ospedale sia ad Anzio che a Roma per alcuni vuoti di memoria. “Ho avuto l’amnesia”. In aula ha ricordato bene le minacce, quando in particolare Riccardo Agostino si era presentato un bel giorno da lui, perché sosteneva che la vittima doveva dare dei soldi ad una terza persona di Latina, inviata da Riccardo Agostino per la riscossione. Era un debito di 10mila che cresceva ma la vittima ha detto che non aveva debiti e che i lavori che erano stati eseguiti nella sua attività da chi lamentava il mancato pagamento, erano stati pagati con regolare fattura. Lui è un imprenditore nel ramo florovivaistico, con l’azienda ad Aprilia e la residenza a Nettuno, colpito dalle estorsioni di Riccardo, Samuele Di Silvio e il padre Armando.
La forza del clan stava anche nel potere intimidatorio. L’imprenditore di Nettuno, pur subendo tutta una serie di intimidazioni ed estorsioni, non ha denunciato cosa subiva: ricatti, blitz nella sua azienda da parte di Riccardo e Samuele Di Silvio, persino, a quanto dichiarato dal pentito, colpi di pistola sparati in aria nei pressi della sua ditta da parte del figlio di Lallà. Insomma, il povero imprenditore che non denuncia per paura, che reagisce esasperato insultando e (pare) spintonando Samuele Di Silvio ma che, poi, terrorizzato da una pistola che Samuele gli mostra sotto la maglia, si rivolge a un carrozziere pregiudicato di Nettuno per placare la sete da estorsione dei Di Silvio. Alla fine paga, con la beffa del doppio gioco effettuato da Armando “Lallà” che si para di fronte a lui come paciere ma che, invece, non batte ciglio quando il figlio Samuele e Agostino gli comunicano che sarebbero tornati dall’imprenditore a prendere altri soldi.