Un lungo sfogo, quello di una ragazza di Nettuno, Claudia Eva, 22 anni, che ci scrive per raccontarci un episodio accaduto ieri sul treno diretto a Nettuno. L’ennesima dimostrazione del degrado e della mancanza di sicurezza con cui sono abituati ormai a convivere i pendolari. Quando non sono i ritardi sistematici, infatti, a rovinare la vita dei viaggiatori, ci pensano i soliti incivili che stavolta hanno agito in gruppo. “Volevo mettervi al corrente di un fatto grave che è successo ieri, martedì 12, sul treno 12195 delle ore 20.42 da Termini. Spero leggeranno in molti. Sono salita sul treno e, prima che partisse, sono arrivati una decina di ragazzi tra i 25 e i 30 anni che hanno iniziato a urlare ancor prima di salire. Già urlare su quel treno a quell’ora è una grande mancanza di rispetto verso gli altri, il punto è che strillavano cose oscene, commenti e insulti a ragazze e donne che passavano, si vantavano di essere furbi perché riusciti a salire senza biglietto e facevano gestacci e altro del genere. Arrivata a Pomezia e dovendo scendere ad Anzio, decido di cambiare vagone perché la situazione non era più sopportabile e lo pensavamo tutti noi sul vagone, essendoci scambiati numerose occhiate di disprezzo. Mi alzo, prendo il giacchetto e sento, sempre urlando, insulti molto offensivi che evito di scrivere rivolti a me. Mi giro verso il tizio e gli chiedo di smettere perché non era proprio il caso – continua a raccontare Claudia – Questo, spalleggiato dai suoi compari, mi invita ad andare da lui continuando a deridermi e insultarmi. Nessuno della carrozza, un militare compreso, ha detto una parola in mia difesa. Prendo le mie cose e percorro tutto il treno cercando il controllore. Lo trovo solamente arrivata ad Aprilia, dove i cafoni scendono, il controllore era fermo all’ultima carrozza al telefono. Non si è mosso per l’intera durata del viaggio. Racconto l’accaduto ma lui mi ripete più e più volte che è colpa mia, che ero stata io ad averli provocati. Ha detto inoltre, tra le altre cose, che lui non avrebbe potuto chiamare la polizia o fermare il treno perché aveva paura delle reazioni nei suoi confronti da parte del branco. Gli dico che secondo me loro non avrebbero dovuto viaggiare su quel treno e che se lui avesse fatto il suo lavoro avrebbe dovuto farli scendere dato che erano senza biglietto. Risponde che lui non poteva sapere se fossero sprovvisti di biglietto e nonostante gli abbia ripetuto che l’avevano urlato per 40 minuti, non ha voluto credermi. Io dovevo, secondo il suo illuminante parere, scegliermi un vagone pieno e non provocare. Peccato che il mio vagone fosse pieno di persone poco umane e che io non abbia provocato, a meno che provocare significhi alzarsi e prendere il proprio giacchetto. Io mi sono sentita sola e in pericolo e l’unica persona che avrebbe dovuto difendermi mi ha incolpato”.