Cartello “sold out”, applausi interminabili e un silenzio denso prima della standing ovation: è questo il bilancio della prima di Antigone deve morire, lo spettacolo andato in scena sabato scorso al Teatro Girasole di Nettuno, per la produzione di Compagnia AreaMetropolitana e Centro Artistico Internazionale Il Girasole.
Un riadattamento potente e simbolico della tragedia di Sofocle, firmato dal regista Simone Barraco, artista che ormai da più di vent’anni calca palcoscenici internazionali da New York al Cairo, passando per la Biennale di Venezia e il Piccolo di Milano.
In una sala gremita da oltre 130 spettatori, la rilettura del testo di Sofocle, si è distinta per forza visionaria e profondità emotiva. Cinque attori in scena per interpretare Antigone, Ismene, Creonte, Emone e un narratore poliedrico che ha dato corpo al coro, alla guardia, al messaggero e alla balia, in un fluido intreccio di voci e ruoli.
La scenografia, volutamente scarna e simbolica, ha creato uno spazio scenico diviso tra un “dentro” – dove si sviluppa l’azione – e un “fuori” abitato dagli attori-personaggi, sempre presenti, anche quando silenziosi. Un bosco sonoro, composto da sussurri, respiri e suoni prodotti dal corpo degli attori, ha avvolto la rappresentazione, donando una dimensione quasi rituale al racconto.
Sul fondale, una cornice vuota: chi vi abita? Polinice, Eteocle, Edipo, Giocasta? O forse una domanda senza risposta, quella che il Classico ci lancia contro con la forza di un pugno sordo allo stomaco. Tutti i personaggi portano il volto coperto da un bianco da circo, ad eccezione di Antigone: il suo volto nudo, privo di maschere, è il segno del suo destino, della sua autenticità che la conduce alla morte e alla terra.
La regia costruisce così un codice visivo e sonoro di grande impatto, con un disegno luci poetico ed evocativo che diventa esso stesso drammaturgia. La scelta musicale – contemporanea, spiazzante – contribuisce a rendere l’opera un ibrido affascinante tra tragedia classica e linguaggi moderni.
Gli attori si sono distinti per una prova intensa e stratificata. Da segnalare in particolare l’interpretazione di Gabriele Ciccotosto, un Creonte tragico e umano, e Alice Marino, un’Antigone di straordinaria profondità. Ottime anche le prove di Leonardo Ragazzini, Amalia Izzo e Francesco Lanzanova, capaci di rendere vivi e attuali i conflitti ancestrali del testo sofocleo.
Settanta minuti di spettacolo che iniziano con un ritmo accattivante e accessibile, per poi catturare il pubblico in una spirale emotiva che culmina in un finale mozzafiato, poetico e raggelante.
Alla fine, le luci si spengono. Un attimo di sospensione, poi l’esplosione: la platea in piedi, lungo e fragoroso l’applauso.
Antigone deve morire è più di una messa in scena: è un’esperienza che tocca corde profonde, un’opera che riappacifica con il teatro, rendendolo necessario, urgente, universale.
Una produzione che merita di essere vista, e rivista. Da tutti.
Perché il teatro, quando è così, ci ricorda chi siamo.