Da i “Racconti di Porto d’Anzio”: I pericoli del primo dopoguerra
Rientrato ad Anzio presi l’abitudine di andare a giocare al fero de cavallo, un piccolo cortile a forma di U sulla curva in via Aldobrandini.
Un giorno, raggiunti i miei compagni in quel luogo dei giochi, decidemmo di andare a piazza dell’Abbeveratoio[1], perché lì c’era un falegname che ci aiutava a costruire dei fuciletti di legno. Sulla parte superiore di queste armi giocattolo fissavamo delle mollette che poi attrezzavamo con delle striscioline elastiche di camera d’aria. Così potevamo giocare ‘a fare la guerra’, gioco in cui per vincere bastava colpire il ‘nemico’ con l’elastico.
Quel giorno era appena spiovuto e noi eravamo una ventina di ragazzi. Scendendo le scalette che ci avrebbero portati dal falegname, ci trovammo dinanzi ad una grande buca creata dalla pioggia, che dava accesso a una grotta. La curiosità irrefrenabile, tipica dei bambini, ci portò ad esplorare l’interno di questa voragine, dove trovammo due casse di legno che aprimmo facilmente con attrezzi di fortuna. Con enorme meraviglia scoprimmo che erano piene di fucili veri e funzionanti. A questo punto il gioco era fatto! C’impossessammo delle armi distribuendone una a testa e tornammo nel cortile con i fucili a tracolla, marciando in fila verso la piazza come dei veri soldati con a capo il comandante.
Appena giunti all’angolo della chiesa ci vennero incontro trafelati due carabinieri, probabilmente allertati da qualche portodanzese, che c’intimarono di lasciare immediatamente a terra quelle armi. Noi le depositammo subito e all’unisono fuggimmo a gambe levate verso casa. I carabinieri raccolsero tutti i fucili, li portarono al comando e avvisarono le nostre famiglie dell’accaduto. Dopo averci rimproverati, i nostri genitori ci ordinarono di non toccare i pericolosi residui bellici che potevamo incontrare per le vie del paese. Tutta la zona ne era piena e potevamo imbatterci persino in qualche mina.
Quel giorno rischiammo davvero grosso, perché se nell’incoscienza infantile qualche bambino avesse puntato il fucile per gioco e avesse sparato, si sarebbe aggiunta un’ennesima tragedia alle tante già vissute.
Ricordo che mia zia Nannina, che alloggiava in una stanza dell’Hotel Vittoria, per non far sbattere la porta della sua camera quando c’era vento, la bloccava con una palla di ferro a forma di pigna trovata in strada. Un giorno, mentre gli artificieri ispezionavano tutti gli appartamenti, si accorsero che la sfera di ferro usata da mia zia era in realtà una bomba a mano pronta a esplodere una volta tolta la sicura, il piccolo anello posto alla sua estremità. Il palazzo fu rapidamente evacuato e la bomba disinnescata.
[1] Il nome della piazza deriva dalla presenza di una grande fontanella antica.
Questo racconto, pubblicato con l’autorizzazione dell’autore, è tratto dal libro “RACCONTI DI PORTODANZIO ” di Ciro Spina, edito dall’Associazione Culturale 00042