Da i “Racconti di Porto d’Anzio”: Sfollati a Bassiano, la morte di Davide Serpa
A seguito dell’ordinanza del Comando Militare Tedesco, molti abitanti lasciarono il paese per rifugiarsi nel sud Italia e nelle campagne del Lazio. Alcune famiglie si spostarono nell’entroterra di Anzio presso le loro vigne di Valle Palomba, Colle Cocchino, Falasche, via dell’Armellino e nella pineta della Campana, dove trovarono ricovero in baracche di legno o in piccoli tinelli in muratura. Nei pressi di questi ripari tra i filari delle viti, i rifugiati si costruirono alcuni nascondigli, spesso arrangiati con pali di legno ricoperti da fogliame per mimetizzare la struttura e sfuggire ai raid aerei. In quei giorni molti giovani, partiti per la guerra al fronte, tornarono a casa per riunirsi alle proprie famiglie ma di Sebastiano Spina, mio padre, che era in servizio su un’imbarcazione di dragamine nel golfo di Napoli, non si avevano ormai più notizie. In questo complicato momento fu mio zio ‘Checco’ a preoccuparsi di aiutare mia madre, me e i miei fratelli ancora bambini. Giacché il porto di Anzio era un obiettivo sensibile e si temeva uno sbarco delle truppe angloamericane, mio zio decise di portare tutta la famiglia insieme ad altri parenti, tra cui i Regolanti, i Serpa, i Palomba e le sorelle Spina, a Bassiano, un paesino distante una cinquantina di chilometri, che lui credeva più sicuro data la sua posizione sulle montagne. Così una mattina di buon’ora, mio zio caricò sulla sua Balilla la famiglia con i pochi effetti personali e partimmo per l’entroterra.
Arrivati a destinazione le autorità locali ci fecero alloggiare in una scuola, tuttora esistente, situata proprio all’ingresso del paese. Gli spazi delle aule furono ottimizzati con un sistema a tendine, grazie a cui si ricavarono sale da pranzo di giorno e stanze da letto per la notte.
Più a valle rispetto al nostro edificio c’era un castagneto, dove sorgeva un accampamento di tedeschi dal quale ogni mattina saliva in paese una pattuglia con lo scopo di prelevare manodopera gratuita per i lavori presso le fortificazioni militari. Questi uomini venivano lasciati liberi di tornare alle loro case solo la sera, per poi essere prelevati nuovamente il giorno successivo.
Ricordo che poco prima dell’ingresso del paese, i Padri Missionari avevano piantato una croce di castagno che divenne subito un punto di ritrovo. Qui gli uomini si davano appuntamento per fare due chiacchiere e andare in fraschetta dopo cena, mentre noi bambini ci sedevamo spesso su di un muretto di protezione di un burrone, non molto distante dal loro ritrovo. Un giorno, mentre mi trovavo sul muricciolo insieme a mio cugino, sentii improvvisamente il rombo di un aereo e subito dopo un tremendo boato, talmente forte che il contraccolpo d’aria ci scaraventò giù nella scarpata. Risalimmo in fretta fino a raggiungere la strada, dove vidi mia madre che tutt’affannata correva verso di noi con l’espressione di sollievo di colei che aveva temuto il peggio. Un aereo aveva sganciato una bomba, che era caduta nei pressi della croce di castagno. Qui lo sfortunato Davide Serpa incontrò la morte e non, come di consueto, i suoi amici per la solita bevuta.
Tale era ogni giorno la vita degli sfollati in piena guerra e oggi è ancora vivo dentro di me il ricordo degli orrori visti attraverso gli occhi di un bambino.
Questo racconto, pubblicato con l’autorizzazione dell’autore, è tratto dal libro “RACCONTI DI PORTODANZIO ” di Ciro Spina, edito dall’Associazione Culturale 00042