Da i “Racconti di Porto d’Anzio”: Gli americani a Bassiano
I giorni successivi allo sbarco di Anzio passavano lentamente e ogni mattina i miei zii salivano su per la montagna per scrutare l’orizzonte con il binocolo e capire quali operazioni fossero in corso, ma vedevano solo la sterminata flotta navale ancorata lungo la costa.
Ci arrivavano notizie dei duri combattimenti che si svolgevano nell’entroterra tra gli alleati e i tedeschi, e tutti ci auguravamo un rapido epilogo del conflitto. Da parte loro i crucchi rinforzavano le linee difensive a valle del paese, grazie al lavoro degli uomini più in forze che riparavano le strade o costruivano fortificazioni e che venivano rastrellati quotidianamente.
Erano giorni in cui il cibo scarseggiava più che mai, tanto che chi aveva del grano lo teneva ben nascosto per non farselo rubare. Il pane divenne una merce rara. Mia madre ogni mattina s’inerpicava sulle montagne per andare nei nascondigli dei pastori a prendere un po’ di latte o di formaggio. Ricordo che un giorno alcuni bassianesi trovarono una mucca per un sentiero, fuggita da chissà dove, e la portarono dal macellaio Righetto. Di lì a poco ogni famiglia ebbe una ricca porzione di carne da consumare, con grande soddisfazione dei nostri stomaci. Tuttavia le cose stavano per cambiare.
Una mattina vedemmo salire dalla strada diretta a Bassiano una colonna di mezzi militari. Eravamo tutti all’ingresso del paese in trepidazione, con la speranza che i nostri occhi confermassero da vicino quel miraggio di soldati americani in arrivo. E così fu. Il comandante, un uomo grosso con una folta barba rossa, fermò accanto a noi i motori del suo mezzo, mi prese immediatamente su con un braccio, mentre con l’altro mi avvicinava una cioccolata che quel giorno assaggiai per la prima volta. Proseguimmo tutti insieme verso la cittadina, accolti dalle grida festanti della gente che pensava alla fine della guerra, senza neppure accorgerci che i tedeschi accampati in quei pressi erano già fuggiti.
Gli americani si insediarono nel comune di Bassiano distribuendo a noi tutti del pane bianco e delle scatolette di carne: finalmente cominciammo a mangiare davvero.
Il giorno dopo mia zia Vincenza mi prese per mano e insieme andammo al comando degli alleati per chiedere degli aiuti. Il comandante ci accolse con il suo americano farcito di cadenze napoletane e ci pregò di non tornare nei giorni seguenti, poiché in paese stavano arrivando le truppe coloniali nordafricane e sarebbe stato molto pericoloso uscire, soprattutto per una donna. La guerra stava finendo ma i pericoli no.
Circa un mese più tardi, mentre noi bambini giocavamo per la strada, vedemmo salire verso il paese un uomo molto affaticato. Mia madre lo riconobbe subito: era tornato papà. Erano ben cinque anni che non lo vedevo, non me lo ricordavo molto bene, ma tale e tanta fu la gioia che lo abbracciai stretto ed entrammo in casa. Ci raccontò quello che aveva passato in quegli anni, di aver contratto la malaria e di essere stato poi curato da una famiglia napoletana. Ci disse del ritorno a piedi da Napoli ad Anzio e da lì fino a Bassiano, dove aveva saputo che ci eravamo rifugiati. Ricordo bene che ci descrisse in che stato disastrato avesse rivisto la nostra cittadina dopo tanto tempo. Non era certo una bella notizia, ma la presenza inaspettata di mio padre aveva comunque sollevato il morale a tutti noi.
Questo racconto, pubblicato con l’autorizzazione dell’autore, è tratto dal libro “RACCONTI DI PORTODANZIO ” di Ciro Spina, edito dall’Associazione Culturale 00042