Da i “Racconti di Porto d’Anzio”: La ricostruzione di Anzio
Finita la guerra, gli sfollati rientrarono quasi tutti ad Anzio e si dedicarono, in piccola e grande parte, alla ricostruzione della città. I lavori più impegnativi furono quelli relativi alla riorganizzazione del contesto urbano. Grazie all’impegno di tante braccia instancabili, si tolsero le macerie dalle strade, fu ripristinata la pavimentazione e si edificarono nuove strutture.
Ricordo bene i lavori alla banchina della piccola pesca distrutta dall’attracco delle navi americane, che utilizzarono il porto per lo sbarco dei mezzi militari e l’imbarco dei feriti e dei prigionieri di guerra. Proprio davanti all’antico ristorante Marechiaro, fu edificato un muro di contenimento stradale con massi in cemento armato disposti in banchina per mezzo di un puntone[1], orientato in acqua da un palombaro che stabiliva il luogo esatto per il collocamento dei blocchi. Una volta delineato il perimetro della nuova banchina, tra i massi e la strada si produsse un dislivello nel quale, per qualche tempo, si creò una pozza naturale utilizzata quell’estate da noi bambini come piscina. Molti impararono a nuotare proprio lì dentro.
A fine stagione la pozza fu riempita con le macerie delle case bombardate e rivestita da una pavimentazione di sampietrini ancora oggi esistente. Contestualmente fu realizzata la discesa per lo scarico del pesce e gli attrezzi da pesca e furono costruiti bagni pubblici, dati in custodia a un pensionato e a una signora addetta alle pulizie, per mantenerli costantemente in funzione.
Fu edificato lo scalo del cantiere Lazzarini che, primo in Italia, si specializzò nella fabbricazione di navi in cemento armato, si adoperò nella manutenzione delle paranzelle da pesca e divenne importante per la costruzione e le modifiche di imbarcazioni per i cineasti.
Uno dei primi film girati ad Anzio fu Fabiola, diretto da Alessandro Blasetti, uscito nelle sale nel 1949. Per l’occasione all’ingresso del porto fu eretta una gigantesca statua raffigurante Giulio Cesare. Molti ragazzi di Anzio, un po’ per il fascino della scena ma molto più per necessità, lavorarono nei vari film girati nella cittadina, tanto che fare la comparsa divenne un’attività costante.
La realizzazione di scene per importanti pellicole cinematografiche dava ad Anzio un’aurea magica, oltre che un grosso impulso alla dura fatica quotidiana della ricostruzione.
Tra mille sforzi, tanti compaesani iniziarono a industriarsi per mettere su un’attività in proprio, come Gigetto detto ‘Bruciafero’ e Salvatore, conosciuto da tutti come il ‘Mattacchione’, che sulla banchina appena costruita affittavano e ormeggiavano le famose lancette a remi.
Gli sforzi e i sacrifici di quegli anni erano leniti anche da un forte clima di fratellanza e solidarietà che si respirava tra i portodanzesi. Per esempio i miei zii D’Andrassi avevano una pescheria nel centro di Anzio e regalavano spesso pesce da far arrosto o per la frittura ai paesani più indigenti che, per pudore, passavano da loro chiedendo qualche avanzo per il gatto.
Anche se con la guerra la maggior parte di noi aveva perso beni e possedimenti, ci era rimasta dignità, umanità, volontà e desiderio di ricostruire la cittadina.
[1] Il puntone è una gru su un’imbarcazione.
Questo racconto, pubblicato con l’autorizzazione dell’autore, è tratto dal libro “RACCONTI DI PORTODANZIO ” di Ciro Spina, edito dall’Associazione Culturale 00042