Da i “Racconti di Porto d’Anzio”: Nuovi quartieri e vecchie usanze
La popolazione di Portodanzio dopo la seconda Guerra Mondiale era costituita da poche anime. Tutti si conoscevano e si chiamavano amichevolmente l’un l’altro cuggì!. Fino al 1957 i residenti originari abitavano in centro, intorno alle piazze, al porto, in via Fanciulla d’Anzio, nei palazzi a fero de cavallo di via Aldobrandini, in via Gramsci, al ‘Maialetto’, nei dintorni di Villa Adele e al ‘Muntarone’, tra via Porto Neroniano e la riviera di ponente.
Negli anni successivi l’inarrestabile processo d’immigrazione da altre regioni, diede lo stimolo per la realizzazione dei primi insediamenti popolari di Anzio Colonia, delle palazzine dei Repubblicani sulla via Nettunense, del quartiere Europa e delle lottizzazioni di Lavinio, fino al più recente rione chiamato Zodiaco. Questi nuovi quartieri decentrarono la popolazione e i portodanzesi si spostarono verso le zone periferiche per costruirsi villette in campagna, tanto da perdere pian piano i contatti tra i vari parenti. Gli appartamenti in centro vennero venduti ai romani che desideravano andare al mare in estate e così il cuore della cittadina divenne gradualmente “forestiero”, perdendo molte usanze popolari.
All’epoca in cui la popolazione era tutta concentrata tra il centro e il porto di Anzio, la mattina del 24 dicembre era consuetudine che le paranze mollassero gli ormeggi per andare in mare e fare una cala[1] per gli amici. Infatti a nessuno dei compaesani e conoscenti doveva mancare il pesce fresco per il cenone natalizio e già verso le dieci di mattina le paranze erano di ritorno al porto per distribuire un po’ di pescato a parenti e cari che si facevano trovare sulla banchina. All’epoca non esistevano buste di plastica quindi ognuno porgeva un fazzoletto pulito al marinaio, che vi deponeva una parte del pesce appena preso, una manciata di frittura, due polpetti o due merluzzi e qualche bronchetto. E chi non poteva recarsi in banchina non veniva certo dimenticato. I marinai si organizzavano per andare direttamente a casa delle persone anziane o di chi non era potuto essere presente al ritorno della paranza, portando la spasella, un cesto in vimini pieno di pesce. Nessuno doveva sentirsi abbandonato dai compaesani.
Quest’usanza durò fino agli anni Sessanta per poi essere abbandonata gradualmente e definitivamente sia per il decentramento degli abitanti originari, sia per l’eccessivo costo che hanno oggi le paranze per ogni giornata di lavoro.
[1] Il momento in cui la rete è in pesca a strascico.
Questo racconto, pubblicato con l’autorizzazione dell’autore, è tratto dal libro “RACCONTI DI PORTODANZIO ” di Ciro Spina, edito dall’Associazione Culturale 00042