Da i “Racconti di Porto d’Anzio”: Antichi resti ritrovati
Tanti anni fa, quand’ero appena undicenne, mia madre aveva un’osteria in piazza Garibaldi, e solitamente, dopo aver mangiato, andavo a darle il cambio nel locale per farla riposare un pochino, dato che la sera chiudevamo sempre molto tardi. Un giorno, mentre ero lì in osteria, ascoltai un racconto di due muratori che m’impressionò particolarmente e che riguardava una storia accaduta nel loro cantiere mentre gettavano le fondamenta per una villa nella zona di Santa Teresa.
Quella zona di Anzio all’epoca, era un grande campo dove si coltivava il grano e l’unico edificio esistente sorgeva a fianco della basilica di Santa Teresa, ancora priva del campanile. Per il resto, su viale Coriolano, c’era solo Villa Spigarelli, attualmente molto visitata per la notevole presenza al suo interno di reperti romani.
Nella zona era già presente il ponte pedonale che attraversava la ferrovia, una vasta pineta e tra gli alberi un campetto dove giocavamo a pallone sempre stando ben attenti a non far precipitare la palla sui binari. Tutte le strade erano sterrate, compresa via dei Volsci, la via che arrivava fino al vecchio cimitero, delimitata da lunghi filari di pini. In alcuni punti dove gli alberi erano più bassi ci fermavamo a cogliere le pigne. L’anfiteatro romano era immerso nei campi di frumento.
Questi prodighi muratori mi raccontarono di aver scoperto una sepoltura contenente un teschio e delle ossa; tra i denti del defunto avevano trovato delle monete, usanza che secondo gli antichi avrebbe consentito al morto di pagarsi il viaggio per l’aldilà.
Il giorno successivo, mi recai incuriosito sul luogo in cui i due operai stavano lavorando e domandai cosa avrebbero fatto con gli antichi resti trovati. Risposero che avrebbero tenuto per loro le monetine e portato all’ossario del cimitero le ossa e il cranio.
A quei tempi non c’era nessun controllo e nessuna legge che tutelasse il ritrovamento di beni archeologici e nel corso degli anni, con il ripetersi dell’apertura di numerosi cantieri in città, vi furono molti altri episodi analoghi.
Un giorno chiesi al mio professore Antei cosa fossero quelle sepolture. Lui mi spiegò che molto probabilmente si trattava di tombe volsche, un popolo italico che precedette gli antichi romani.
Questo racconto, pubblicato con l’autorizzazione dell’autore, è tratto dal libro “RACCONTI DI PORTODANZIO ” di Ciro Spina, edito dall’Associazione Culturale 00042