Si rivolge alle persone che in tutti questi anni gli sono state vicino. Luciano Mingiacchi, ex direttore generale della Asl RmH – accusato di truffa, falso e abuso d’ufficio e prosciolto in udienza preliminare dopo cinque anni – rende noto l’ultimo documento giudiziario con le motivazioni, nel periodo in cui svolgeva l’incarico di direttore generale della Asl RmH, relative alla sentenza di proscioglimento emessa nei suoi confronti e in quelli di alcuni dirigenti della Asl lo scorso 21 maggio dal Giudice dell’Udienza Preliminare di Roma, il giudice che valuta la richiesta di rinvio a giudizio avanzata dal Pubblico Ministero. “Il Gup,come è ben spiegato nella parte iniziale della sentenza allegata – scrive Mingiacchi – non valuta tanto l’innocenza dell’imputato o meno, quanto la sostenibilità in giudizio delle prove fornite dall’accusa. Le accuse che mi venivano rivolte dal P.M. riguardavano tre reati, tutti di notevole pesantezza, e cioè: truffa,falso e abuso d’ufficio. Leggendo il dispositivo della sentenza di proscioglimento, ognuno potrà farsi un’idea di quanto siano state giudicate infondate le accuse avanzate nei miei confronti sulla vicenda che riguardava la Casa di Cura San Raffaele di Velletri, di proprietà di uno dei maggiori imprenditori italiani della sanità. Per il reato di truffa, la contestazione è stata giudicata “documentalmente smentita in radice,frutto di travisamento del fatto, del tutto infondata”, quella di falso “insussistente”, l’abuso d’ufficio contestato “un reato impossibile”. Il Giudice ha altresì voluto darmi atto di essermi “dimesso dall’incarico quando raggiunto da misura cautelare non detentiva,a tutela del prestigio dell’Ufficio ricoperto e per difendermi liberamente”. Queste valutazioni sono per me fonte di grande soddisfazione, perché dimostrano la capacità della Giustizia Italiana di saper giudicare senza condizionamento alcuno, ma solo sulla base dei fatti e dei documenti, e di ridare la serenità a tutti coloro che, come me, hanno sempre avuto fiducia nella Giustizia, e non solo a parole o come vuota formula dichiarativa. L’unico rammarico riguarda i tempi dilatati con i quali si è arrivati all’attuale conclusione (dopo più di cinque anni): il risultato tardivo è sì un riconoscimento di errore nell’attività e nelle richieste dell’accusa, ma non pone rimedio ai danni e alle sofferenze che ho patito e che con me hanno sopportato le persone che mi vogliono bene. So peraltro che la mia complessiva vicenda giudiziaria non si è conclusa con questa sentenza e che altri passaggi dovrò ancora affrontare per pagare quello che appare un costo collaterale della mia esperienza di Direttore della Asl più complessa della Regione Lazio, esperienza che ho cercato di fare con il massimo impegno e trasparenza degli atti. Lo faccio volentieri e con serenità, sperando che la Giustizia giusta si manifesti ancora e punisca anche quanti, per salvare i loro affari,gettano fango sulle persone perbene”.