Dagli inizi nel 2008, la prima volta da sindaco, alla sfiducia nel 2015. Il bilancio dell’era Chiavetta
Il sogno finisce qua. Anzi, è meglio dire che Nettuno si era risvegliata da un pezzo. Il sogno di una politica nuova, affidato a un sindaco di appena 30 anni ad aprile del 2008, di una città da rilanciare dopo l’onta dello scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni della criminalità organizzata. Aveva iniziato bene Alessio Chiavetta, il giovane “prodigio” della politica nettunese, il ragazzo che si era fatto valere nelle assemblee scolastiche prima e in consiglio poi, a combattere Vittorio Marzoli e la sua giunta. Aveva iniziato evitando il dissesto finanziario e poi mandando a casa la Nettuno servizi. La cosa più bella che è riuscito a fare. L’unica. Il resto è stato un continuo attorcigliarsi su se stesso, come se il giovane vecchio – così lo definisce qualcuno negli ambienti – fosse uscito dalla scuola dei partiti prima Repubblica e non dall’esperienza dell’Erasmus all’università.
C’era aria di cambiamento a Nettuno nel 2008, il 26,2% contro Minchella (28,6%) e un centro-destra spaccato, la città che come dieci anni prima al ballottaggio si affidava al secondo arrivato, allora Carlo Conte e stavolta un giovane. Poteva solo far bene Alessio, invece… Lontana la vittoria al secondo turno con oltre il 67%, lontani i buoni propositi. Chiuso nella sua stanza, il fido – allora – Gianluca Faraone arrivato da Tributi Italia, qualche assunzione non troppo chiara, la Poseidon come valvola di sfogo per la politica, le difficoltà con la Ferrazzano, una maggioranza da accontentare pur di andare avanti, le sagre, le promesse rimaste tali… Le prime indagini della magistratura per l’incarico proprio a Faraone, la Corte dei conti, persino una richiesta di arresto azzardata quanto inutile. Ma anche la fila per prendere un panino alla partita del Nettuno baseball, i buoni rapporti con Roma, il partito, l’idea che la città stesse realmente cambiando con una serie di opere rimaste però incompiute e una campagna elettorale segnata dalla “buca”. Il macco di piazzale Berlinguer regalato ai cittadini, l’inizio della fine.
Nettuno ci credeva, lo ha confermato al ballottaggio nel 2013 (62,17%) dopo avergli fatto sfiorare la vittoria al primo turno (45%) e stavolta non c’era Minchella ma Carlo Eufemi come avversario. Ma qualcosa nella coalizione si era già rotto. Le tensioni con il resto del Pd, la maggioranza allargata, le alchimie per tenerla in piedi, la sfida a distanza con Burrini nell’elezione per l’Area metropolitana (persa da entrambi), il rimpasto e le dimissioni, il ritiro, l’estremo tentativo di ricomporre i cocci. Intanto la città arrancava, la buca restava lì e gettava ombre pesanti sull’intera gestione della vicenda, la nuova indagine sugli incarichi, mentre con Faraone i rapporti erano diventati inesistenti fino alla definitiva rottura con la “rotazione” forzata dei dirigenti e l’allontanamento dell’ex fido alleato. Certo, il Pd non ha “remato” per Chiavetta, non tutto. E’ noto l’istinto suicida del partito laddove governa, ma il giovane prodigio non ha saputo imporsi, si è mosso come l’elefante nella cristalleria, ha preferito i rapporti romani a quelli con i cittadini. Ha lasciato una città senza guida, piena di rifiuti, con il Borgo peggio di quando è arrivato, nessuna opera realizzata. E’ addirittura fuggito al confronto sulle dimissioni in consiglio comunale, cosa che nessuno della Prima Repubblica avrebbe fatto. Una delusione, con un record forse: Chiavetta è il primo presidente regionale dell’Anci, l’Associazione nazionale dei comuni d’Italia, a essere sfiduciato. Ascesa e declino del giovane Alessio stanno tutte qui.