Ad Anzio e Nettuno c’era la mafia. La Corte d’Appello di Roma ha ribadito quanto già sostenuto dal Tribunale di Velletri cinque anni fa: a operare sul litorale era un’associazione per delinquere di stampo mafioso impegnata principalmente nel narcotraffico. E in secondo grado per molti dei 17 imputati nel processo denominato “Appia”, condannati a un totale di circa duecento anni di reclusione, le pene sono state addirittura aumentate.
Un procedimento scaturito dalle indagini portate avanti dai carabinieri del Ros. La Direzione distrettuale antimafia di Roma si convinse ben presto che la struttura oggetto degli accertamenti avesse le caratteristiche del 416 bis, che si arricchisse soprattutto con la cocaina, estendendo il suo raggio d’azione fino a Roma, che fosse in grado di condizionare il consiglio comunale di Nettuno, all’epoca retto da una giunta di centrodestra, e che nei due centri balneari fosse stata addirittura creata una locale di ‘ndrangheta, struttura composta da più ‘ndrine federate. Nel 2004 venne compiuta così quella che gli investigatori chiamano una retata e l’anno dopo il consiglio comunale del tridente venne sciolto per mafia, restando sinora l’unico Comune del Lazio commissariato a causa delle infiltrazioni mafiose.
Dubbi degli inquirenti rafforzati poi dall’inchiesta “Infinito”, portata avanti dall’Antimafia di Milano, dalle inchieste della Dda di Reggio Calabria, e confermati da un pentito del calibro di Antonino Belnome. Le cosche di Guardavalle, centro calabrese della zona ionica, avrebbero creato un proprio ingombrante avamposto nel Lazio, tra Anzio e Nettuno appunto, e da lì avrebbero fatto il salto in Lombardia. Affari condotti dalle famiglie Gallace e Novella, prima che le stesse entrassero in contrasto e il boss Carmelo Novella venisse ucciso a San Vittore Olona, un omicidio costato l’ergastolo al boss Vincenzo Gallace.
Il processo si è trascinato a lungo nelle aule di giustizia. Poi, nel 2013, sono arrivate da parte del Tribunale di Velletri le condanne per mafia, ora confermate e aumentate dalla Corte d’Appello di Roma. Tutte oscillanti tra i 23 e i 15 anni di reclusione.