Il reddito familiare, tra il 2000 e il 2013, infatti, registra una perdita di circa -8.312 euro per le famiglie di lavoratori
Cala il reddito dei lavoratori, cresce quello di imprenditori e professionisti. I contratti nazionali sono stati un argine contro l’inflazione ma non abbastanza forte per reggere il combinato disposto, peso del fisco e bassa produttività: il reddito disponibile familiare, tra il 2000 e il 2013, infatti, registra una perdita di circa -8.312 euro per le famiglie di lavoratori, a fronte di un guadagno di 3.142 euro per quelle di professionisti e imprenditori. E’ quanto emerge dal rapporto sui salari dell’Isrf Lab – curato dal segretario generale della Fisac Cgil, Agostino Megale, con la collaborazione di Nicola Cicala – dal titolo ‘Poveri salari’.
La scure del fisco si è abbattuta sui salari determinando ”un vero e proprio crollo”: se la pressione fiscale nel 2013 sui redditi da lavoro fosse rimasta quella del 1980, il salario netto mensile sarebbe stato pari a circa 1.600 euro invece di poco più di 1.300. Non si sarebbe generata così una perdita di circa 300 euro al mese, pari a circa 3.500 euro di tasse in più pagate dai lavoratori l’anno.
Il testo, che verrà presentato lunedì alla festa de ‘L’Unità’ di Bologna dallo stesso Megale e dal responsabile economico del Pd, Filippo Taddei, analizza le diverse e intrecciate dinamiche che si riflettono sul salario, dalla crisi e dalle sue cause fino al peso del fisco e dell’inflazione passando per la scarsa produttività di ‘sistema’, il tutto a partire dal tema della diseguaglianza nella distribuzione del reddito.
Prendendo in analisi ”gli anni della recrudescenza della crisi”, ovvero i quattro anni che vanno dal 2010 al 2013, nel rapporto dell’istituto di ricerche della Fisac emerge che ”l’inflazione effettiva accumulata è stata pari al 9,1% a fronte di retribuzioni contrattuali cresciute del 6,9% che, al netto delle tasse, si riducono al 6%”. Si è registrata così in questi ultimi quattro anni una perdita secca pari al -3,1%.
”I salari ‘tengono’ l’inflazione ma subiscono il peso delle tasse e la mancata crescita della produttività di sistema”, afferma Megale. Per quanto riguarda, invece, l’anno in corso, le previsioni dello studio, alla luce della ”positiva riduzione fiscale degli 80 euro”, attestano una crescita delle retribuzioni nette del +2,6%, frutto degli effetti di un’inflazione pari a fine anno a +0,3%, una crescita delle retribuzioni contrattuali del +1,6% e gli 80 euro di minori tasse decisa dal governo per 10 milioni di lavoratori sotto i 1.500 euro al mese.
Se questi sono i numeri che descrivono lo stato dei salari, Megale ne analizza anche le cause di fondo: ”Il problema della nostra economia – afferma – è la contrazione degli investimenti, sia pubblici che privati: mentre lo Stato si trova a fare i conti con i vincoli di bilancio, le banche hanno ridotto dal 2011 a oggi di 63 miliardi di euro il credito concesso a famiglie e imprese”.
fonte adncronos