Due cuori e una capanna, si usa dire. E già, negli anni Cinquanta nelle capanne si viveva davvero… Famiglie di quattro, cinque persone riuscivano miracolosamente a vivere in uno spazio di otto metri quadrati. Tanto misura, ad occhio, la capanna realizzata ad Anzio, nel quartiere della Sacida, da Alberto Nevicelli. Imprenditore in pensione, 71 anni, papà e nonno. Ci invita in casa sua per portarci a spasso nel tempo. Una villetta dove vive con la sua famiglia, un grande prato e una capanna, proprio così, piantata in mezzo al giardino, dove amano trascorrere le giornate i nipotini. Un’idea nata per gioco , “per far contenti i bambini che mi chiedevano di costruirgli una capanna”, racconta Alberto, e trasformata in una piccola opera d’arte. Un gioiellino – fatto dalla A alla Z con le sue mani – che sarebbe bello aprire alle scolaresche, ai bambini di Anzio e Nettuno, ma anche agli adulti. Rivive la storia, in quella piccola capanna che riproduce, minuziosamente, quelle in uso dalla fine degli anni Cinquanta, dopo la guerra, in tutta la zona. Si viveva lì dentro, in pochi metri quadrati, dove era concentrato tutto. Altro che monolocale. In meno di dieci metri si concentravano due letti a castello, un comodino, un tavolinetto e una macchina per cucinare, al centro della stanza. Solo paglia e legnetti di fortuna. E’ così che è stata costruita. Ci sono voluti sei mesi di lavoro, come spiega Alberto, ma il risultato è sorprendente.
“A quei tempi le famiglie di contadini facevano la transumanza – racconta – D’estate si andava a vivere sulle montagne, d’inverno si veniva qui ad Anzio e si viveva dentro le capanne. Si è andati avanti così fino agli anni Sessanta. Nessuno dei ragazzi di oggi può sapere una cosa del genere se non dai racconti. Avevo sei anni quando dormivo qui dentro con la mia famiglia. Ancora me lo ricordo. Lo racconto sempre ai miei nipoti, che un giorno mi hanno chiesto di regalargli una capanna dove poter giocare… Così mi sono messo a lavoro e sono riuscito a ricrearla, e da allora non riesco più a tenerli lontani da qui. Sono innamorati di questo piccolo cimelio”. All’interno ci sono ancora gli oggetti che si utilizzavano allora, conservati in qualche scantinato per tutti questi anni. Una lanterna (fungeva da lampadario), il “piattaro”, le forchette (d’epoca), prosciutti e salami appesi sopra al tavolino della cucina. Non c’era riscaldamento, era un’altra vita, lontanissima da quella di oggi, ma si viveva bene, le famiglie erano unite, ci si scaldava con la fodera dei sedili delle auto di allora, ci si arrangiava. Un’altra vita, appunto.