Nell’Ordinanza n.1008 del 28 gennaio 2015, il Tribunale di Ivrea ha ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa irrogato ad un dipendente che aveva pubblicato su facebook dei post offensivi nei riguardi del datore di lavoro e di alcuni colleghi.
Nel caso di specie, il lavoratore aveva convenuto in giudizio l’azienda al fine di vedere dichiarata l’illegittimità del licenziamento intimatogli il 16 giugno 2014 e la conseguente condanna della società alla sua reintegrazione in servizio ed al pagamento dell’indennità risarcitoria prevista dalla legge.
In particolare, il ricorrente, pur non negando di aver pubblicato sulla propria bacheca Facebook le frasi oggetto del procedimento disciplinare dal quale era scaturito il suo licenziamento per giusta causa, aveva sostenuto che la propria condotta, seppure “offensiva“, non sarebbe stata così grave da giustificare il recesso.
Il Tribunale piemontese, ritenuta infondata la domanda del lavoratore, ha rigettato il ricorso.
Nella premessa, il Giudice ha evidenziato quanto pacificamente accaduto, ricordando che, a fine 2012, il dipendente aveva evocato in giudizio la società al fine di vedere dichiarata la nullità del termine apposto in diversi contratti a tempo determinato, con conseguente condanna della stessa al ripristino del rapporto di lavoro ed al pagamento delle retribuzioni medio tempore maturate, ovvero all’indennità prevista dall’art.32 della Legge n.183/2010.
Con sentenza n.54/2014, lo stesso Tribunale adito per dirimere l’attuale questione, accertata la nullità del termine apposto ai contratti de quibus, aveva accolto la domanda subordinata del lavoratore in punto risarcimento del danno.
Con missiva del 20 maggio 2014, il ricorrente aveva quindi chiesto di poter riprendere il servizio ed il successivo 28 maggio era stato convocato in azienda per espletare gli adempimenti relativi alla ricostituzione del rapporto di lavoro, pur venendo esonerato dal rendere la propria prestazione.
In pari data, il dipendente aveva pubblicato sulla propria bacheca facebook la lettera di riammissione in servizio, accompagnandola da un primo post del seguente tenore: “Grazie coglioni!!!! Beccare Cash stando a casa a grattarsi il cazzo!! Very thanks!!! Il pacco è riveder colleghe milf arrapate con sti bacetti… odiose! Nn vedono cazzo dall’89… Cacciate sti 100 euro a qualche gigolò… Mortacci vostre“.
Nella medesima giornata, l’uomo aveva poi pubblicato il seguente post: “Ho l’esclusiva con Mediaset… Ma sticazzi!! Nn potevo averla col signor Giorgino…ARMANI. Vita grama“.
Sul punto, il giudicante ha precisato come i post predetti non fossero riservati ai cd. “amici“, ma risultassero potenzialmente visibili dal circa miliardo di utenti del social network e che tali commenti erano stati rimossi solamente il 12 giugno 2014, a seguito di esplicita diffida della società.
Al termine di questa premessa, il Tribunale ha chiarito che l’attuale questione consista nel valutare se la condotta pacificamente posta in essere dal ricorrente fosse tanto grave da impedire la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto di lavoro.
Nel ritenere più che legittimo il recesso, il giudice piemontese ha sottolineato come i reiterati insulti gratuiti proferiti non solo nei confronti dei propri superiori, definiti “coglioni“, ma soprattutto di colleghe del tutto estranee alle controversie che avevano contrapposto le parti in causa, risultassero assolutamente gravi, in quanto denotanti la volontà del ricorrente di diffamare sia la società, sia parte dei dipendenti con le modalità potenzialmente più offensive dell’altrui reputazione.
Dott. Valerio Pollastrini
Consulente del Lavoro
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