Il traballante sistema di pesi e contrappesi che ha caratterizzato, a partire dalla entrata in vigore dello statuto dei lavoratori del 1970, il mondo delle relazioni industriali italiane è definitivamente crollato.
Sfiancato nel corso del tempo da continui e scientifici interventi tesi a indebolirlo ha esalato l’ultimo respiro con la recente approvazione dei nuovi decreti delegati del Jobs Act governativo.
I due testi principali promossi dall’esecutivo disegnano un nuovo sistema che presta il fianco a qualche osservazione in tema di costituzionalita’ delle norme a breve in vigore.
Il principio di eguaglianza dettato dall’art. 3 della nostra Carta Costituzionale è semplice, comprensibile anche per un bambino:
Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso , di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Dinanzi ad un simile precetto chiaro sembra il compito del legislatore: si tratta di fare attenzione a non produrre norme che per qualche verso creino disparita’ di trattamento, figli e figliastri.
Cio’ anche in funzione dell’obbligo per lo Stato di incoraggiare meccanismi normativi che originino l’uguaglianza dei cittadini, determinino medesime condizioni di partenza, scoraggino discriminazioni.
Si puo’ essere d’accordo o meno sul disegno del nuovo mondo del lavoro che Renzi ha in mente e ai pilastri che attorno a questa idea sta costruendo ( facilità di accesso con contratti a tempo determinati acausali o a tempo indeterminato senza reintegra e con risarcimenti per recesso contigentati), ma è certo che il nuovo corpo normativo sul contratto a tutele crescenti, dara’ origine al cosidetto “doppio binario”, a due categorie di lavoratori destinatari di diverse garanzie per il solo motivo di essere stati assunti prima o dopo una stessa data.
Per coloro, infatti, che alla data di entrata in vigore dei decreti potranno contare un inquadramento a tempo indeterminato continueranno ad applicarsi le vecchie garanzie gia’ pesantemente ammorbidite da innumerevoli riforme succedutesi nel breve periodo.
Solo i nuovi assunti saranno soggetti alle nuove tutele attenuate.
A questo elemento di differenziazione tra soggetto e soggetto concernente, in sostanza, la quantificazione della tutela indennitaria ( visto che il ricorso alla reintegra era, come segnalato, già stato fortemente limitato dalla cd. Legge Fornero) si aggiunge una nuova prospettiva che, sempre in ambito di costituzionalità, appare addirittura piu’ inquietante.
Quella che riguarda la parita’ delle posizioni all’interno di un medesimo sistema normativo.
I ripetuti aggiornamenti normativi che hanno caratterizzato gli ultimi anni di questo paese, a partire dall’anno 2010 (L. 183) ci hanno abituato a considerare normale (sebbene ai sensi dell’art. 3 Cost. normale non sarebbe) la apposizione, quale criterio per l’applicazione di tutele diverse, di un termine di cesura temporale (ancora oggi pendono migliaia di cause aventi ad oggetto l’applicazione della tutela “reale” statutaria “piena” prevista per il licenziamento illegittimo).
Il profilo che, con le nuove disposizioni, piu’ preoccupa, pero’ è proprio quello per cosi’ dire “endocontrattuale”.
Il meccanismo delle “tutele crescenti” istituzionalizza la disparita’ di trattamento tra lavoratori che prestino il loro apporto alla azienda di appartenenza nel medesimo contesto normativo nazionale, magari con applicazione del medesimo CCNL, stessa qualifica e mansione.
Cio’ solo per effetto della presenza di un elemento certamente di rilievo ma che oggi diventa unico criterio determinante l’importanza del risarcimento economico, che quindi l’esecutivo sembra suggerire per misurare il valore intrinseco che il nuovo sistema riconosce ad ogni rapporto di lavoro: l’anzianità lavorativa, in base alla quale viene graduata l’entita’ del risarcimento.
La durata del rapporto come sola connotazione di rilevanza ai fini della tutela del lavoratore o del potenziale rischio aziendale.
C’è da chiedersi, sulla scorta dell’esperienza processuale, se il criterio scelto, nella esclusione totale di ogni discrezionalità per il magistrato decidente ( anche di integrarlo con altri specifici caso per caso), sia quello giusto.
Sarebbe utile domandarsi come questo assunto si concili con la tendenza tutta italiana, e ripetutamente segnalata nei tribunali del lavoro, di superare l’ostacolo normativo con l’uso fraudolento di strumenti alternativi, anch’essi previsti dall’ordinamento e di semplice estensione.
Strumenti, nonostante l’abolizione dei contratti co.co.co e co.co.pro di cui il governo si fa vanto, in gran parte ancora presenti e in buona salute ( per esempio le somministrazioni di lavoro).
Una riflessione andrebbe compiuta.
Il nuovo sistema, cosi come si presenta, appare fortemente sbilanciato in favore della azienda e questo non è un bene sia per la evidente contraddizione col dettato costituzionale ma soprattutto perche’ è di assoluta necessita’ per la pace sociale che il sistema di regole che disciplinano questo strategico settore della vita democratica incarni principi di sobrietà ed equilibrio.
In questo senso una indiscutibile defaillance dell’esecutivo risiede nella nuova norma che esclude la conservazione del rapporto di lavoro, pertanto la reintegrazione , nel caso in cui il magistrato individui la natura sproporzionata della sanzione del licenziamento rispetto alla infrazione accertata in corso di giudizio.
Di fatto ogni qualvolta il dipendente incorresse in mancanze “veniali” l’azienda potrebbe procedere al licenziamento, semmai scientemente mettendo in conto il rischio di doverlo risarcire secondo anzianita’ di servizio.
Prevedere che anche in questa ipotesi la massima tutela del dipendente sia quella risarcitoria equivale, senza dubbio, a diffondere un messaggio di libera e discrezionale recedibilità dal rapporto di lavoro.
Avv. Alberto Stocco
Patrocinante in Cassazione
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