Nella sentenza n.4347 del 4 marzo 2015, la Corte di Cassazione ha precisato che dal computo del periodo di prova vanno esclusi i giorni in cui la prestazione del dipendente non sia stata resa per eventi non prevedibili, quali la malattia, l’infortunio, la gravidanza e il puerperio, i permessi, lo sciopero, la sospensione dell’attività del datore di lavoro e il godimento delle ferie annuali.
Nel caso di specie, la Corte di Appello di Catanzaro aveva rigettato il gravame proposto da una società contro la sentenza del Tribunale di Cosenza che, in accoglimento della domanda proposta dal dipendente, aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato a quest’ultimo e motivato dal mancato superamento del periodo di prova, condannando l’azienda alla reintegrazione del lavoratore, nonché al pagamento delle retribuzioni maturate dal recesso fino alla reintegra.
Nel dettaglio, la Corte territoriale aveva ritenuto che:
– il recesso doveva ritenersi tardivo, in quanto alla data della sua comunicazione il lavoratore aveva già superato il periodo di prova;
– nella determinazione del periodo di prova dovevano essere conteggiati anche i giorni di riposo, in quanto durante tale periodo la mancata prestazione lavorativa inerisce al normale svolgimento del rapporto;
– per effetto di questo calcolo, aggiungendo ai giorni di effettivo servizio prestato (cinquantatre) anche quelli di riposo goduti dal dipendente dopo sei giorni lavorati (otto), e con esclusione dei riposi convenzionali, il dipendente aveva prestato complessivamente sessantuno giorni di lavoro, oltre il termine di durata del periodo di esperimento della prova fissato in sessanta giorni dal C.C.N.L. Istituti di vigilanza.
Avverso questa sentenza, la società aveva proposto ricorso per Cassazione, censurando la pronuncia di Appello per violazione dell’art.2096 c.c. e dell’art.69 del C.C.N.L. del personale degli istituti di vigilanza.
Nello specifico, la ricorrente aveva sostenuto che l’espressione adoperata nell’art.69 del CCNL, secondo cui la durata massima del periodo di prova non può eccedere i “60 giorni di effettivo lavoro prestato”, e l’analoga espressione presente nella lettera di assunzione, non potevano avere altro senso che quello fatto palese dalle parole. In questa prospettiva, l’aggettivo “effettivo” indicherebbe la volontà delle parti di includere nel periodo di prova solo i giorni in cui il lavoratore sia stato effettivamente in attività di servizio, con esclusione di tutti gli altri in cui tale attività non risulti reale ed effettiva.
In particolare, in assenza di una diversa previsione della contrattazione collettiva o del contratto individuale di lavoro, non potrebbero computarsi nel periodo di prova le giornate di riposo legale o convenzionale godute dal lavoratore.
Questa interpretazione, peraltro, risponderebbe alla finalità del patto di prova, che è quella di consentire alle parti di verificare la reciproca convenienza della prestazione lavorativa, nonché l’accertamento da parte del datore di lavoro della capacità del prestatore di lavoro.
Ritenendo fondata la predetta doglianza, la Cassazione ha premesso che, secondo il prevalente orientamento della giurisprudenza di legittimità, il decorso di un periodo di prova determinato nella misura di un complessivo arco temporale, mentre non è sospeso da ipotesi di mancata prestazione lavorativa inerenti al normale svolgimento del rapporto, quali i riposi settimanali e le festività, deve ritenersi escluso – in quanto preclude alle parti, sia pure temporaneamente, la sperimentazione della reciproca convenienza del contratto di lavoro, che costituisce la causa del patto di prova – in relazione ai giorni in cui la prestazione non si è verificata per eventi non prevedibili al momento della stipulazione del patto stesso, quali la malattia, l’infortunio, la gravidanza e il puerperio, i permessi, lo sciopero, la sospensione dell’attività del datore di lavoro e il godimento delle ferie annuali. Quest’ultimo, data la sua funzione di consentire al lavoratore il recupero delle energie lavorative dopo un cospicuo periodo di attività, non si verifica di norma nel corso del periodo di prova (1).
Tale principio, tuttavia, trova applicazione solo in quanto non sia diversamente previsto dalla contrattazione collettiva, la quale può attribuire rilevanza sospensiva del periodo di prova a dati eventi che accadano durante il periodo medesimo (2).
Ciò premesso, gli ermellini hanno osservato come, attraverso la sua denuncia, la parte ricorrente avesse argomentato seguendo l’iter argomentativo posto alla base dell’indirizzo giurisprudenziale suddetto.
In conclusione, la Suprema Corte, ritenuti sussistenti i difetti denunciati con il ricorso, ha disposto la cassazione della sentenza impugnata e la rimessione della questione ad altro giudice, che – dopo i necessari accertamenti di fatto – dovrà effettuare una nuova valutazione in merito al compimento, o meno, del periodo di prova da parte del lavoratore.
1) – Cass., Sentenza n.23061 del 5 novembre 2007; Cass., Sentenza n.19558 del 13 settembre 2006;
2) – così Cass., Sentenza n.23061 del 5 novembre 2007; Cass., Sentenza n.4573 del 22 marzo 2012;
Dott. Valerio Pollastrini
Consulente del Lavoro
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