A cura dell’Avv. Tiziana Chiapponi
La registrazione a vario titolo di colloqui, telefonici e non, è divenuta spesso fonte di interrogativo circa la sua legittimità ed utilizzabilità come elemento di prova in un eventuale giudizio. Tale interrogativo trova ragione nell’esistenza nel nostro ordinamento giuridico del diritto alla privacy. Ebbene, come comportarsi? Registrare una conversazione senza preventivamente avvertire il nostro interlocutore costituisce una violazione della privacy? Ed ancora: tale registrazione può essere utilizzata in un eventuale giudizio? La risposta ci è stata fornita dalla giurisprudenza che con varie pronunce ha ritenuto che la registrazione di un colloquio tra più soggetti può essere utilizzata come prova sempre e legittimamente quando colui che la effettua è parte del colloquio stesso o, comunque, è legittimato ad assistervi. Tale interpretazione trova ragione nel fatto che coloro che sono parte del colloquio, così come coloro che vi assistono, hanno conoscenza delle informazioni ivi scambiate in maniera non occulta, con la conseguenza che, gli altri interlocutori, avendo implicitamente accettato il rischio che i primi potessero documentarle attraverso registrazione, non possono opporvi la violazione del loro diritto alla privacy, con la conseguenza che gli altri interlocutori e coloro che hanno legittimamente assistito al colloquio possono disporne liberamente. Ovviamente, però, tutto ciò ha un limite. Ed il limite è dato dal fatto che tali registrazioni possono essere utilizzate soltanto quando esse sono volte a far valere o a difendere un diritto in sede giudiziaria a condizione che l’utilizzo di tali dati sia limitato al perseguimento delle predette finalità e al tempo stesso ad esse strettamente necessario. Ne deriva che per rendere la condotta di registrazione legittima e, dunque, non violativa della normativa in materia di privacy, e per potere ritenere dette registrazioni “prove” di un dato fatto o comportamento, sono necessari due presupposti: innanzitutto il fatto che chi ha effettuato la registrazione fosse parte della conversazione o, comunque, fosse presente alla stessa; e, poi, che questa venga utilizzata esclusivamente in un giudizio civile e/o penale per la difesa di un proprio diritto o di un diritto altrui per il tempo strettamente necessario. Chiarito ciò, è facile stabilire, di contro, quando la registrazione di una conversazione costituisca, invece, una violazione della privacy altrui, sfociando, in alcuni casi, nel reato di interferenze illecite nella vita privata previsto dall’art. 615 bis c.p.. Ciò si verifica quando il soggetto che registra la conversazione è estraneo alla stessa e, comunque, la sua presenza non è conosciuta né accettata dagli interlocutori. Tale circostanza, a sua volta, trova una ulteriore eccezione che è data dalle “intercettazioni” disposte nell’ambito di una indagine giudiziaria di carattere penale. In tali casi, infatti, i presupposti sono chiaramente differenti. Nello specifico, l’utilizzo di tale strumento di ricerca della prova è consentito solo ed esclusivamente nel caso l’indagine sia svolta per una serie di reati tassativamente indicati dal codice penale e con determinate modalità che prevedono l’autorizzazione del Giudice per le Indagini Preliminari ed il decreto motivato del Pubblico Ministero.
Avv. Tiziana Chiapponi
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