di Menuccia Nardi
Ritorniamo al nostro appuntamento con i film che negli anni hanno ottenuto il riconoscimento dell’ambita statuetta hollywoodiana di bronzo dorato e permettetemi di omaggiare un film che personalmente adoro, anzi direi che lo considero uno dei dieci film più belli di sempre, Il silenzio degli Innocentidi Jonathan Demme. L’avrò visto innumerevoli volte, non saprei dire quante, ricordo molte scene a memoria e potrei citarne interi dialoghi a braccio, eppure ogni volta che lo vedo esigo che non voli una mosca e che nessuno passi davanti allo schermo, e mi sorprendo sempre a dire «togliti, non vedo», come se non ne conoscessi già ogni singola battuta, l’inizio, la fine, mami ritrovo sempre lì, rapita, a bocca aperta…
Uscito nelle sale nel 1991 (curioso il fatto che negli Stati Uniti uscì per l’esattezza il 14 febbraio, il giorno di san Valentino) è il terzo film in assoluto – dopo “Accadde una notte” di Frank Capra e“Qualcuno volò sul nido del cuculo” di Miloš Forman – ad aver vinto i cinque premi Oscar più importanti: miglior film, miglior regia (Jonathan Demme), miglior attore protagonista (Anthony Hopkins), miglior attrice protagonista (Jodie Foster) e miglior sceneggiatura non originale (Ted Tally). Era la 64° edizione, quella dell’ormai lontano 1992 (l’anno in cui anche l’Italia fu premiata grazie a Mediterraneo del nostro Gabriele Salvatores, che vinse l’Oscar come miglior film straniero) e Hollywood riconosceva il giusto merito a questothriller avvincente, coinvolgente, emozionante, al cardiopalma e consacrava con l’Oscar uno strepitoso e impareggiabile Anthony Hopkins.
Il film è tratto dall’omonimo libro di Thomas Harris: nel tentativo di catturare un omicida seriale, Buffalo Bill, l’agente dell’FBI Clarice Starling (Jodie Foster) fa visita in un carcere psichiatricoal dottor Hannibal Lecter, (interpretato da Anthony Hopkins), al fine di ottenere informazioni utili alla cattura di Buffalo. Lecter, ex psichiatra accusato di cannibalismo e rinchiuso in una cella di massima sicurezza, conosce il ricercato e accetta di fornire il suo aiuto, ma in cambio chiede a Clarice di instaurare un rapporto speciale, di parlargli del suo passato, della sua infanzia. Gli incontri tra i due diventano una sorta di sedute di psicoanalisi, in cui si crea uno strano legame, di reciproca fiducia, che porta entrambi ad un ambiguo livello di complicità e che consentirà a ciascuno dei due l’epilogo sperato…
Emblematica la scena finale del film, in cui il dottor Lecter, evaso, cammina camuffato tra la folla (tra di noi, mi verrebbe da dire) ignara di avere accanto uno psicopatico, geniale e intelligente, ma pur sempre un mostro…Inquietante e bellissimo! Lo vedrò ancora, è certo…