Domani, 27 giugno, sarà il primo anniversario della morte di un indimenticabile attore italiano.
Era infatti un lunedì dello scorso anno, il 27 giugno per l’appunto, quando ci lasciava Carlo Pedersoli, per noi tutti Bud Spencer, morto a Roma all’età di 86 anni. E ho voglia di ricordarlo, di ricordare l’attore, protagonista insieme a Terence Hill (al secolo Mario Girotti) di tante fortunatissime pellicole degli anni ’70, prima fra tutte “Lo chiamavano Trinità”, un cult del cinema italiano diretto da E. B. Clucher (pseudonimo di Enzo Barboni). Molti della mia generazione lo hanno sicuramente visto da bambini e personalmente ne ho ricordi esilaranti: ne ricordo le battute, gli sketch, che ammetto di aver visto e rivisto più volte, e che in tanti siamo sempre pronti a citare a braccio, a raccontare ai nostri figli, per riderci un po’ su, come con noi ne ridevano a suo tempo i nostri genitori. Un attore, quindi, conosciuto e amato da più di una generazione. Quanti altri protagonisti del piccolo e grande schermo possono vantare una fortuna analoga? Non moltissimi, credo.
Omaggio quindi all’artista, certo, ma anche all’uomo, che ispirava una simpatia immediata, quasi inconscia, come se non si potesse fare a meno di volergli un po’ di bene. Probabilmente era quell’aria semplice e bonaria che lo rendeva così simpatico, o l’atteggiamento da persona estremamente normale, non l’attore di cinema che se la tira, ma uno di noi, che da campione di nuoto la vita – imprevedibile com’è – ha reso attore. Per questo la sua morte ci ha rattristato davvero, non è stata la notizia del tg della sera che si ascolta distrattamente mentre a tavola parli dei fatti tuoi. Sono certa che molti di noi ne sono rimasti realmente dispiaciuti. Io sì. E mi sembrava quasi doveroso, a un anno dalla morte, porgergli un saluto.
Ma la vita, mi dirà qualcuno, è questa, le persone se ne vanno, e chissà perché ci sembra sempre che se ne vadano troppo presto. Mi viene in mente in proposito un’intervista a Bud Spencer che ho trovato in rete, dove lui stesso citava una frase di una canzone brasiliana (d’altra parte è in Brasile che ha trascorso alcuni anni della sua vita) e che credo renda bene il senso del tempo che passa, e ci rammenta come spesso le cose belle della vita ci sembrano sempre troppo brevi: «La felicità è come una goccia di rugiada che cade su un petalo di un fiore…».