di Menuccia Nardi
Qualche giorno fa ero in spiaggia – e fin qui, visto il clima di questi giorni, nulla di che. Verso le undici circa, mentre mi godo un minimo di fresco sotto l’ombrellone (trovo sempre difficile da sopportare il sole della mattina), si avvicina una donna che vende braccialetti e anelli – ne vediamo tante in questi giorni sulle nostre spiagge – e lì per lì non ci faccio neanche caso, ma all’improvviso, dietro quella corporatura alta e in carne, spunta da dietro la schiena un faccino sorridente, due occhi scuri e un sorriso bianco che spicca su quella pelle scura e vellutata che le ha donato la natura. È una bimba, capisco dopo, e quasi scompare dietro le spalle della mamma, che la porta con il classico fazzolettone africano, il pagne, che solo loro davvero sanno portare e che io guardo sempre con una certa diffidenza, perché ho sempre la sensazione che i bimbi possano cadere da un momento all’altro. Glielo dico, infatti: «Non hai paura che cada?». «No, no, non cade» mi risponde lei sorridendo. Le offro di sedersi sul lettino. Mi ringrazia, in un italiano che parla e comprende, ma un po’ a fatica, segno che deve essere qui già da un po’, ma non da moltissimo. A occhio la bimba avrà meno di un anno, si toglie il cappello che le mamma le ha messo per proteggerla dal sole. Lei prova a rimetterglielo e lei lo toglie di nuovo. Le dà un po’ d’acqua con il biberon. Le chiedo quando si fermerà per mangiare e cosa mangerà la bambina. Mi spiega che si fermerà verso l’una e che per la bimba ha con sé un omogeneizzato. E gesticola con le mani come per dire che ha tutto per la sua bimba. Poi si alza, saluta e se ne va, e con lei se ne va quel faccino sorridente e gioioso, senza fare capricci, senza un lamento.
Non so come quella donna e la sua bambina siano arrivate qui in Italia, non so se lei sia regolare, se abbia un permesso di soggiorno, non so nulla di loro e, lo chiarisco e lo ammetto fin da subito, io non sono tra quelli che accoglierebbe sempre tutti e comunque, semplicemente perché penso che il nostro paese non abbia i mezzi per poterlo fare. Tuttavia, una volta arrivate, comunque siano arrivate, non possiamo far finta che queste persone non esistano e il buon senso vuole che venga garantita loro una vita dignitosa. Ripeto, da soli per noi è realmente difficile, ma in fondo facciamo parte di una grande famiglia, l’Unione Europea, e volendo insieme un minimo di soluzione, sia pure non perfetta, si troverà…e invece no, a quanto pare, perché quando si tratta di conti pubblici e regolamenti economici siamo una famiglia allargata, quando c’è un problema da risolvere (e quello dei flussi migratori lo è e pure grosso), diventiamo vicini di pianerottolo! No, signori miei, così non ci siamo, mi dispiace… e soprattutto se si parla di bambini non mi interessa di chi o cosa sia la responsabilità, non mi interessa chi ha torto e chi ha ragione, so solo che un bambino ha il diritto di essere tutelato, comunque e dovunque, e basterebbe un minimo di lungimiranza per capire che se noi oggi saremo dalla loro parte, se offriremo loro un’infanzia giusta, domani loro saranno dalla nostra.
Ma questo è un discorso più ampio… quella piccola non sa di noi, non sa dell’Europa, sorride felice, felice di essere con la mamma, felice del suo biberon con l’acqua e insofferente a un cappellino parasole, e mentre la vedo sorridere e allontanarsi penso che quest’ora dovrebbe stare sotto un ombrellone, a giocare con secchiello e formine e ho un groppo in gola, che mi serra la gola e non va giù… Perdonatemi, ma oggi va così e faccio fatica a vedere il bicchiere mezzo pieno. Al prossimo lunedì.
Si ringrazia per la foto “Parole di Viaggio”