Operazione Super Job, scoperta frode per 90 milioni: 18 arresti

 La GdF ha scoperto una serie di società cooperative che portavano tutte a un commercialista. L’organizzazione criminale si avvaleva anche di un pubblico ufficiale corrotto

Diciotto ordinanze di custodia cautelare, nove in carcere e altrettante ai domiciliari, e un sequestro di beni per 15 milioni di euro. E’ il bilancio dell’operazione Super Job, condotta dal Nucleo di polizia tributaria del comando provinciale della Guardia di Finanza di Latina e dalla tenenza di Aprilia. Un’indagine lunga e complessa, coordinata dai sostituti procuratori Luigia Spinelli e Giuseppe Bontempo, che ha permesso di scoprire un giro di false fatture per 90 milioni di euro, un’evasione di imposte che supera i 20 milioni e crediti iva per 7 milioni.

Nell’indagine sono coinvolti un imprenditore di Pavia, sei commercialisti della provincia di Latina, un finanziere in servizio alla tenenza della Guardia di Finanza di Aprilia (accusato di corruzione e rivelazioni di ufficio), un intermediario residente a Londra, un dipendente dell’Agenzia delle entrate e alcuni presidenti di cooperative. Tutti finiti agli arresti. L’accusa ipotizzata a vario titolo è di associazione a delinquere finalizzata alla frode fiscale e alla corruzione.

Il sistema scoperto dagli investigatori della Finanza attraverso attività di intercettazioni telefoniche e ambientali consisteva nella creazione di cooperative che servivano a supportare l’imprenditore pavese per evadere. Le cooperative di servizi erano intestate a prestanome ed erano destinate ad operare solo pochi anni. “Ogni società – spiega il colonnello Michele Bosco, comandante provinciale della Guardia di Finanza – nasceva sapendo di dover passare il testimone a quella successiva. Le società nascevano ad Aprilia e morivanoall’estero, nel Regno Unito, e prima di cessare l’attività lasciavano in eredità alla cooperativa nascente un credito iva. La nuova cooperativa si gonfiava quindi di fatture false consentendo di creare fondi neri che venivano a loro volta trasferiti all’estero”. Le false fatture per operazioni inesistenti permettevano in sostanza di creare falsi crediti iva da utilizzare poi per compensare la quasi totalità di debiti di natura tributaria e previdenziale. I costi venivano poi bilanciati con ricavi derivanti dall’emissione di false fatture, per milioni di euro frodati all’erario.

Il ruolo del finanziere infedele
L’organizzazione criminale si avvaleva anche di un pubblico ufficiale corrotto, in servizio presso la tenenza della Finanza di Aprilia, il quale, dietro vantaggi economici, rivelava agli indagati informazioni sull’indagine.