di Menuccia Nardi
Qualche giorno fa ho visto il video di una competizione sportiva, non per intero, sono onesta, solo l’ultimo giro: e credo che come me l’abbiano visto e rivisto in molti. È stata una di quelle competizioni che si ricorderanno sugli annali e di cui qualcuno metterà da parte un ritaglio di giornale.
Lo scenario è Doha, in Qatar, dove sono in corso in questi giorni i mondiali di atletica. Parliamo delle qualificazioni dei 5000 metri maschili. Jonathan Busby, atleta di Aruba, pantaloncini blu e maglietta gialla, è sfinito: si intuisce chiaramente che probabilmente non riuscirà a terminare la sua gara. Dietro di lui arriva Suncar Dabo, pantaloncini neri e maglietta rossa, gareggia per la Guinea Bissau. Dabo potrebbe superare Busby, ma non lo supera, fa un’altra scelta (perché la vita è fatta costantemente di scelte): lo affianca, gli prende il braccio, lo sorregge fino alla meta. Inutile dire quanto mi sono emozionata. Arrivano alla fine della corsa, arrivano insieme, perché tutti possiamo arrivare al traguardo, perché non si lascia indietro nessuno…